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I difetti e gli errori dei trial clinici sugli psichedelici

Problemi irrisolti della ricerca psichedelica

Un paio di settimane fa è uscito un articolo review di cui quasi nessuno ha parlato, ma che secondo me è veramente ben fatto e merita il giusto approfondimento.

Due autori olandesi si lanciano in argomenti spinosi e provocatori analizzando i problemi e gli errori nella scienza e nei trial sugli psichedelici. Una faccenda per niente sexy, che decisamente non ha raggiunto le maggiori testate giornalistiche, nessun clickbait, nessuna pubblicità, zero scalpore.

E invece è un articolo preciso, puntuale, esaustivo e (lo posso dire?) con i controcazzi. Si elencano errori ed imprecisioni senza preoccuparsi se si sta additando grandi organizzazioni con tanti soldi.

Un applauso allora, per quanto mi riguarda, va a van Elk e Fried, i due coraggiosi che hanno scritto questo articolo.

Nell’introduzione viene spiegato che, forse, c’è un po’ troppo ottimismo ad oggi nella ricerca sugli psichedelici, un ottimismo che viene esponenzialmente aumentato dai media e dai milioni di dollari che circolano in questo mercato emergente.

I tiral clinici, per essere considerati attendibili, devono anche essere validi sotto più punti di vista.
Ci sono però 4 tipi di validità diverse che spesso non vengono sufficientemente approfondite nei vari studi sugli psichedelici, ovvero i risultati che vengono pubblicati si fondano su conclusioni corrette? Oppure sono conclusioni affrettate e con fondamenta traballanti?

1) Validità interne: è effettivamente l’intervento dello psichedelico, piuttosto che altri fattori, che spiega i risultati ottenuti? Gli errori principali che vanno ad interferire con la validità interna sono la mancanza di un gruppo di controllo, l’impossibilità di mantenere la cecità dello studio, gli effetti placebo.
2) Validità esterna: i risultati ottenuti da una popolazione ristretta possono essere traslati anche alla popolazione generale? Le cause che inficiano la validità esterna sono per esempio bias di selezione dei partecipanti o criteri di inclusione troppo ristretti.
3) Validità di costruzione: lo studio è stato costruito nella maniera più opportuna? Quali sono i meccanismi che portano ai risultati ottenuti? Sicuramente non c’è un follow up adeguato nel lungo periodo, e ancora poco si sa sui meccanismi di funzione degli psichedelici, come agiscono e cosa di preciso avviene a livello fisiologico.
4) Validità statistica e di conclusione: l’analisi statistica porta in maniera inequivocabile alle conclusioni? Oppure modificando l’analisi si arriva a conclusioni completamente diverse? Qui entrano in gioco anche i conflitti di interesse e pratiche di ricerca alquanto dubbie, oltre a scelte non propriamente logiche su quali parametri analizzare e in che modo analizzarli.

I due autori olandesi si dedicano quindi ad un lungo ed esaustivo elenco delle problematiche incontrate nella ricerca psichedelica, suddivindendole in problematiche facili, moderate e difficili.

Problemi facili

  • Interferenze statistiche.
    Si va da p-value significativi calcolati su campioni molto piccoli (spesso nemmeno 20 pazienti), all’utilizzo di multipli test di analisi che creano confusione invece di determinare risultati chiari ed univoci.

  • Conflitti di interesse.
    Qua si apre letteralmente un mondo.
    Ci sono articoli che hanno una sezione “conflitto di interessi” quasi più lunga dell’articolo stesso, mentre è capitato nel grande congresso Psychedelic Science 2023 che le presentazioni fossero prive della slide con le disclosure del relatore.
    Bene ma non benissimo diciamo.

  • Sicurezza ed eventi avversi.
    Non sempre gli eventi avversi e gli effetti collaterali sono elencati con la minuzia che ci si aspetterebbe da un trial clinico, tanto che di solito non si ritrovano nemmeno all’interno dell’articolo, bensì nei supplementi allegati. C’è forse qualcosa da nascondere?
    Altro aspetto cruciale è il fatto che la durata del follow up è decisamente breve ed è quindi impossibile individuare eventuali eventi avversi nel lungo termine.
    Come non accennare poi alla sicurezza personale dei pazienti. Purtroppo ci sono stati casi di violenza sessuale e psicologica durante le sedute psichedeliche (anche durante i trial di MAPS), cose che proprio non si dovrebbero mai in alcun caso verificare. Questo può derivare in parte dall’assenza di chiare linee guida sulla gestione della psicoterapia, al momento basata su indicazioni approssimative che includono anche il contatto fisico.
    Se per caso vuoi approfondire questo aspetto ti rimando ad un podcast molto interessante che ne parla in dettaglio.

Problemi moderati

  • Mancanza dei gruppi di controllo.
    Un problema già conosciuto da tutti ma che stenta ad essere risolto, essendo collegato strettamente alla mancanza di cecità intrinseca all’uso di psichedelici.

  • Dimensione dei campioni.
    Come giustamente dicono gli autori dell’articolo, non ci fideremmo mai di un sondaggio su chi vincerà le prossime elezioni nazionali al quale hanno partecipato solo 20 persone. Lo stesso vale per la stragrande maggioranza dei trial sugli psichedelici, eppure i campioni riportati sono anche inferiori a 10 pazienti in alcuni casi. Nonostante questo le testate giornalistiche tirano fuori grandi titoli.
    Come è possibile traslare un dato ottenuto da una manciata di persone all’intera popolazione generale? Quasi sicuramente non c’è una sovrapposizione netta. I costi di uno studio con tanti pazienti è elevatissimo e richiede molto tempo, ma è necessario concentrarsi su questi aspetti per ottenere terapie valide e sicure.

  • Bias di selezione.
    Svariati.
    I criteri di esclusione per partecipare ai trial clinici sono spesso tantissimi e i pazienti che alla fine superano tutti i vari blocchi non rappresentano adeguatamente la popolazione generale.
    C’è poi il problema della strana preferenza in molti trial per i bianchi con un buon reddito e alto livello di educazione. Nell’ultimo studio di fase 3 di MAPS viene infatti evidenziata con grande orgoglio la variabilità della popolazione studiata e dell’inclusione di minoranze etniche e persone LGBT.
    Un aspetto delicato è il bias che deriva dalla motivazione dei partecipanti: se partecipi ad un trial tendi a sperare che quel trattamento funzioni, andando addirittura a rispondere in maniera non veritiera nei vari test.

  • Durata dello studio.
    La maggior parte dei trial sugli psichedelici fatti finora si è concentrata su un follow up di poche settimane o pochi mesi, non siamo mai andati oltre l’anno. Considerando che la metà circa dei casi di depressione episodica va in remissione spontanea entro l’anno, come facciamo a sapere che effettivamente la terapia psichedelica è una terapia valida? Certo proseguire uno studio per così tanto tempo è abbastanza costoso, ma sembra che i soldi non manchino quindi forse è il caso di applicarsi meglio.

Problemi difficili

  • Mantenere la cecità.
    Problema più che conosciuto: se prendi uno psichedelico te ne accorgi, va da sè che è impossibile mantenere la cecità dei pazienti e degli operatori. Si sta cercando in svariati modi di ovviare a questa difficoltà intrinseca alla ricerca psichedelica, dall’utilizzo di dosaggi diversi oppure placebo attivi, fino addirittura all’anestesia e la sintesi di farmaci privi di capacità allucinatoria (i cosiddetti psicoplastogeni), ma ancora non è stata raggiunta una conclusione valida ed accettabile.

  • Effetti placebo.
    Altra problematica ampiamente discussa. Nel mondo degli psichedelici è ben risaputo che il set (mindset) e il setting (l’ambiente) contribuiscono in maniera preponderante all’esperienza psichedelica. A questo si aggiunge quello che viene detto “effetto Pollan”, ossia l’aumento delle aspettative sulle terapie psichedeliche in seguito all’uscita del bestseller Come cambiare la tua mente di Michael Pollan. Tutti aspetti che vanno a complicare ulteriormente un aspetto di difficile risoluzione.

  • Meccanismi d’azione.
    Sono stati proposti svariate ipotesi su come funzionano gli psichedelici e che cosa succede nel nostro cervello. Alcune ipotesi sono state anche in parte dimostrate, ma la conoscenza sull’argomento è ancora piuttosto scarsa.
    Oltre ai meccanismi di azione fisiologici, bisogna considerare i meccanismi psicologici e l’implicazione dell’uso di una psicoterapia non standardizzata.
    Complessità e incertezza sono le parole d’ordine insomma.

Come puoi intuire tutti questi problemi sono interconnessi tra di loro e di non facile risoluzione.

I due autori suggeriscono quali possano essere i passi da intraprendere per migliorare la validità dei trial clinici sugli psichedelici, e propongono anche una checklist per determinare quanto il trial può essere considerato attendibile.

Significa che la ricerca psichedelica non è affidabile e sono tutte bugie? Assolutamente no. Non ci sono studi fatti male e studi fatti bene, ci sono risultati da interpretare ed analizzare con criterio per non rischiare di trarre conclusioni imprecise.

Ho parlato spesso di errori nei vari articoli che analizzo ogni settimana (ti ricordi dello sfigmomanometro rotto della COMPASS Pathways? Oppure i dosaggi sbagliati di MAPS? O ancora l’Usona Institute con i suoi pazienti assegnati a gruppi sbagliati?) e ne parlo perché credo sia importante essere il più trasparenti possibile.

Dopo tutto stiamo discutendo della salute delle persone e la sicurezza deve essere alla base della piramide, anche a costo di ritardare di un paio di anni l’entrata in commercio di questi farmaci.

Pare consolidata l’opinione che il futuro della psichedelia sarà la medicalizzazione. Questo significa sì terapie e miglioramento dello stato di salute, tuttavia non si può essere indifferenti di fronte ad errori palesi e malamente occultati solo perché ci sono tanti soldi in gioco.

Gli psichedelici hanno tutte le carte in regola per essere davvero rivoluzionari in campo medico (già lo sono), ma per quanto rumorosa ed innovativa possa essere questa rivoluzione non si può ignorare il metodo scientifico che è alle fondamenta della medicina moderna.

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