Psichedelici e psicoplastogeni

Gli psichedelici promuovono la neuroplasticità legandosi al recettore TrkB del BDNF

Da qualche giorno sto studiando alcuni articoli su PubMed a proposito degli psicoplastogeni e del recettore TrkB.

Sembra roba complessa? Un po’.

Cerchiamo di fare chiarezza (userò meno “medichese” possibile, giuro).

Sarà probabilmente una faccenda lunga ma secondo me è interessante da capire.

Partiamo dagli psichedelici, ossia un gruppo di sostanze psicoattive che producono cambiamenti nella percezione, nell’umore e nei processi cognitivi.

Esistono diversi tipi di psichedelici, suddivisi in:

  • psichedelici classici (per es. LSD e psilocibina), che producono i loro effetti legandosi al recettore 5-HT2A della serotonina;

  • psichedelici non classici (per es. MDMA e ketamina), che producono gli stessi effetti ma lo fanno legandosi a recettori diversi da quello della serotonina.

L’interesse crescente della ricerca scientifica negli ultimi anni per tutto quello che concerne il mondo della psichedelia, è principalmente dovuto al fatto che queste sostanze si sono rivelate quasi miracolose nel curare o trattare patologie importanti quali il disturbo post-traumatico da stress e la depressione maggiore.
Non solo, ormai la ricerca si è spinta un po’ ovunque e si stanno facendo numerosi trials in giro per il mondo per vedere gli effetti degli psichedelici sulle più svariate condizioni: dall’anoressia al disturbo ossessivo compulsivo, dall’emicrania a grappolo alla risoluzione dei conflitti tra israeliani e palestinesi.

Alcuni di questi risultati, seppur preliminari nella maggior parte dei casi, sono effettivamente straordinari, cosa che li leggo e mi chiedo come sia possibile che nei ben tre esami di farmacologia che ho sostenuto all’università di Medicina e Chirurgia, mai una volta sia stato fatto cenno a questi composti.

Non sappiamo ancora nel dettaglio come gli psichedelici siano in grado di svolgere il loro ruolo terapeutico, ma da quello che è stato scoperto finora diciamo che in generale hanno due principali effetti:

  • effetti allucinogeni;

  • effetti neuroplastici.

La neuroplasticità è la capacità del sistema nervoso di adattare la propria struttura in risposta a una varietà di fattori e di stimoli, interni o esterni.
In soldoni è grazie alla neuroplasticità che impariamo e ci ricordiamo le cose che impariamo, che modifichiamo i nostri comportamenti, che ci adattiamo all’ambiente e a determinati deficit (per es. sordità o cecità - presente quando si dice che i ciechi hanno l’udito più sviluppato dei vedenti?).
Cambiamenti plastici del sistema nervoso avvengono anche in stati patologici, dal Parkinson alla depressione.

La neuroplasticità si può attuare tramite modificazioni strutturali, per esempio aumentando il numero dei dendriti dei neuroni, oppure tramite modificazioni funzionali, modificando il tipo di interazione tra i neuroni.
In generale è comunque un processo lento, molto lento (non si impara mica a camminare o a leggere in due ore).

Detto così sembra quasi che le possibilità terapeutiche degli psichedelici dipendano principalmente dai loro effetti neuroplastici, ossia dalla capacità di plasmare un cervello patologico in uno sano.

E gli effetti allucinogeni?

Ci stanno ancora lavorando.

Non è facile da un punto di vista scientifico, con numeri e statistiche, andare ad analizzare ciò che concerne la sfera mentale e spirituale.
Si sostiene che è proprio la dissoluzione dell’ego indotta dalle allucinazioni che permette poi di ottenere un buon risultato terapeutico, ed è la combinazione di trip e neuroplasticità a dare l’outcome migliore.

Quello che è certo è che la neuroplasticità degli psichedelici è rapida, una specie di interruttore: inizi la terapia psichedelica che ti vorresti buttare da un ponte e nemmeno mezza giornata dopo è quasi tutto passato, o per lo meno stai parecchio meglio. Mica roba da niente.

Ma torniamo all’inizio.

Se psichedelici classici e non classici producono gli stessi effetti pur legandosi a recettori diversi, forse vorrà dire che recettori diversi attivano lo stesso processo, allucinogeno e neuroplastico insieme.

Oppure.

Oppure può voler dire che in realtà gli psichedelici, classici e non, si legano a più di un recettore. In questo modo il recettore 1 sarebbe responsabile dell’effetto 1 (allucinogeno) e il recettore 2 sarebbe responsabile dell’effetto 2 (neuroplasticità).

Può tornare?

Già qualche anno fa alcuni ricercatori avevano fatto un esperimento sui topi, ai quali avevano somministrato uno psichedelico e allo stesso tempo un bloccante del recettore 5-HT2A.
E cosa è stato visto?
Succedeva che i topi guarivano dalla depressione senza avere allucinazioni.

Ti stai chiedendo come si fa a sapere se un topo è depresso o allucinato? Te lo spiego più avanti.

Quindi sì, può tornare che gli psichedelici si legano a due recettori diversi tra loro, perchè se blocco il recettore 1 (ossia blocco le allucinazioni) ho comunque il risultato 2 (ossia la neuroplasticità).

Ma quale sarebbe allora il recettore 2?

Riprendiamo un attimo la neuroplasticità: è una cosa fisiologica, di tutti noi, dalla nascita per l’intera vita.
Chi se ne occupa di preciso all’interno del nostro organismo?

Se ne occupa il tropomyosin receptor kinase B (amichevolmente TrkB), che è il principale recettore del brain-derived neurotrophic factor (in famiglia detto BDNF).

Il BDNF, che produciamo normalmente nel nostro corpo, si lega al recettore TrkB, e dal loro legame partono tutti quei processi che permettono la neuroplasticità.

Lo scorso mese è uscito questo articolo molto molto molto interessante su alcuni esperimenti fatti ad Helsinki da parte di Moliner e collaboratori, i quali hanno dato degli psichedelici ad alcuni topi. Cosa hanno scoperto?

  • Si conferma che bloccando il recettore 5-HT2A si hanno effetti neuroplastici e antidepressivi senza le allucinazioni.

Per vedere se un topo è depresso lo si immerge in una vasca d’acqua: se smette di nuotare e rimane a galla immobile senza cercare di mettersi in salvo, allora è depresso.
Per vedere se un topo ha le allucinazioni si osservano gli spasmi alla testa: se ha i tic, allora è in trip.

  • Gli psichedelici si legano anche al recettore TrkB.
    Per essere sicuri che si trattasse proprio di quel recettore e non di altri (qui sta l’eleganza dell’esperimento), hanno somministrato gli psichedelici sia ai topini con il recettore TrkB wild type (cioè normale) che a quelli con il recettore TrkB mutato (malfunzionante), e hanno osservato che nei soggetti con mutazione non si riscontravano effetti, mentre nei soggetti normali gli effetti erano evidenti.

  • Il legame LSD-TrkB è mille volte più forte del legame farmaco antidepressivo-TrkB e anche del legame ketamina-TrkB (interessante…); il legame psilocibina-TrkB è poco più debole dell’LSD, comunque centinaia di volte più forte di un generico antidepressivo.

  • Si conferma che gli effetti neuroplastici e antidepressivi degli psichedelici non dipendono dal legame con il recettore 5-HT2A, bensì dal legame con il recettore TrkB.

Quello che hanno visto finora sui topi in questo studio finlandese risulta affascinante e abbastanza convincente.
Se questi dati venissero confermati anche sull’essere umano, si potrebbero brevettare farmaci antidepressivi psichedelici che però sono senza la componente allucinogena.

Se si toglie l’effetto allucinogeno dagli psichedelici li possiamo ancora chiamare psichedelici?

No.

Li chiamiamo psicoplastogeni, per sottolinearne l’effetto neuroplastico.

Ne consegue che la maggior parte degli psichedelici sono psicoplastogeni, ma non tutti gli psicoplastogeni sono psichedelici.

La prima domanda che può sorgere spontanea è: visto che il BDNF fa tutte queste belle cose e lo produciamo fisiologicamente, si potrebbe creare un farmaco simil-BDNF che non c’entra niente con gli psichedelici?
Ci sono già trials clinici in corso per testare alcuni di questi nuovi composti, però ci sono delle difficoltà da superare,tra cui l’attraversamento della barriera emato-encefalica e le possibili tossicità.

Seconda domanda: siamo sicuri che la parte allucinogena sia inutile dal punto di vista terapeutico?
Eh eh. Questa sì che è una bella domanda. Chissà, chi vivrà vedrà.

E ancora: questo pionieristico esperimento murino fatto ad Helsinki, riuscirà ad essere valido anche sugli esseri umani?
Big Pharma ci spera, così da poter guadagnare un bel gruzzoletto dai brevetti.
La Delix Therapeutics ha da pochissimo concluso lo studio di fase 1 su 100 volontari sani per determinare la sicurezza e la farmacocinetica del suo nuovo psicoplastogeno DLX-001.

Infine: se venisse fuori che l’effetto allucinogeno è un intralcio alla terapia, significa che tutti gli sforzi per legalizzare gli psichedelici sono una perdita di tempo e che non si faranno mai passi avanti?

Quello che voglio sottolineare, concludendo, è che l’importanza vera dello studio di Moliner va ben al di là degli psichedelici e della terapia psichedelica.

Infatti gli psicoplastogeni possono avere un ruolo chiave nel trattamento di patologie fino ad oggi considerate inguaribili, dalla SLA ai deficit post-ictus, e questo è sicuramente uno scenario che sarà eccitante scoprire nel futuro prossimo.

Bibliografia

Moliner R, Girych M, Brunello CA, et al. Psychedelics promote plasticity by directly binding to BDNF receptor TrkB. Nat Neurosci. 2023;26(6):1032-1041. doi:10.1038/s41593-023-01316-5

Hesselgrave N, Troppoli TA, Wulff AB, Cole AB, Thompson SM. Harnessing psilocybin: antidepressant-like behavioral and synaptic actions of psilocybin are independent of 5-HT2R activation in mice. Proc Natl Acad Sci U S A. 2021;118(17):e2022489118. doi:10.1073/pnas.2022489118