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ReSPCT: linee guida per il setting psichedelico

Il bagno è in fondo a destra

C'è un grande non detto nella ricerca clinica con psichedelici: che effetto ha il luogo in cui avviene l’esperienza? Perché il setting, si sa, conta. Ma quanto conta davvero? E soprattutto, come si misura?
Uno dei problemi più grandi dei trial psichedelici è che il setting non è mai lo stesso. Non è solo una questione estetica, contano la musica, la luce, la disposizione dello spazio, il rapporto con il terapeuta, il numero di persone presenti, perfino se ci sono o meno piante o finestre... Tutto questo può modulare l'esperienza e quindi l'esito clinico, rendendo difficile confrontare gli studi o replicarli. Eppure, fino ad ora, non esisteva una linea guida condivisa per descrivere come venivano organizzate queste sessioni.

La maggior parte degli studi clinici riporta minime informazioni sul setting. In una revisione sistematica recente, citata proprio all'inizio dell'articolo di Pronovost-Morgan et al., si osserva che su 33 trial clinici con psichedelici, molti non riportano nemmeno aspetti basilari del contesto, come la localizzazione dello studio o le caratteristiche fisiche dell'ambiente. Non stiamo parlando di dettagli marginali: stiamo parlando di variabili che possono fare la differenza tra una seduta curativa e un'esperienza destabilizzante.
Così, un gruppo di ricercatori ha deciso di provare a sistematizzare la questione. Ne è nato ReSPCT 2025, acronimo di Reporting Setting in Psychedelic Clinical Trials: una checklist di 30 item da riportare nei futuri trial, con l'obiettivo di migliorare la trasparenza, la comparabilità e la riproducibilità della ricerca.
Chiunque lavori in ambito clinico sa quanto le checklist siano fondamentali per garantire sicurezza, qualità e replicabilità. Lo spiega benissimo Atul Gawande nel suo libro "Checklist", che ogni medico dovrebbe leggere almeno una volta.

Come sono arrivati a questi 30 item? Con un classico processo Delphi con quattro round online. Per chi non lo conosce, il metodo Delphi è una tecnica di ricerca basata sul parere di esperti, raccolto in più tornate successive, in modo da convergere progressivamente verso un consenso. I partecipanti rispondono in forma anonima, e dopo ogni fase ricevono un riepilogo delle risposte precedenti, potendo rivedere le proprie opinioni alla luce del gruppo.

Nel primo round, il più libero, sono arrivate 770 risposte aperte da parte degli 89 esperti coinvolti (provenienti da 17 Paesi). Da queste sono stati estratti 49 item iniziali.
Nei round successivi si è proceduto con rating di importanza, coerenza, discussioni, combinazioni e ridefinizioni. Alla fine, gli item sono diventati 30, suddivisi in quattro aree:

  • ambiente fisico,

  • procedura della sessione di dosaggio,

  • cornice terapeutica,

  • esperienza soggettiva.

Il consenso richiesto per includere un item era che almeno il 70% dei partecipanti lo ritenesse "molto importante" o "importante". Alla fine, il 95% si è detto soddisfatto del risultato e il 74% ha dichiarato che lo userebbe sicuramente nei propri studi futuri.

Una delle cose più interessanti è che per la maggior parte degli esperti il setting non riguarda solo il momento del dosaggio, ma si estende dal reclutamento al follow-up.
Inoltre, circa la metà dei partecipanti ha indicato una sovrapposizione concettuale tra set (cioè lo stato mentale e le intenzioni del partecipante) e setting (cioè l'ambiente): segno che è sempre più difficile separare le condizioni esterne da quelle interne.

Tutto questo lavoro è confluito in ReSPCT, che rappresenta il miglior tentativo disponibile di chiarire cosa dovrebbe essere effettivamente riportato quando si pubblica un trial clinico con psichedelici.
Sul sito ufficiale del progetto è disponibile un documento esplicativo che approfondisce ciascuno dei 30 item. Non si tratta solo di nominarli, ma di chiarire che cosa si intenda precisamente per ognuno. Ad esempio, alla voce "bagno", si specifica che non si tratta solo di una banale disponibilità logistica, ma di un elemento essenziale per garantire comfort, autonomia e dignità durante un'esperienza che può durare ore e coinvolgere forti stati corporei. Oppure, alla voce "safety culturale", si approfondisce come le pratiche adottate possano far sentire accolti i partecipanti provenienti da contesti culturali diversi o da minoranze etniche. E così via per ogni voce: dalle luci alla musica, dalla privacy alla posizione delle sedie, dal tipo di supporto psicologico previsto alla possibilità di esprimere liberamente emozioni intense.

Tutti questi dettagli possono sembrare minuzie, ma in un contesto dove il contenitore influisce sul contenuto, ogni elemento del setting è potenzialmente terapeutico o rischioso, se mal gestito.
Chiunque stia progettando uno spazio terapeutico, anche al di fuori della ricerca, potrebbe usare questa checklist per riflettere su come rendere più sicuro, inclusivo e trasformativo l'ambiente in cui accogliere un'esperienza psichedelica. Perché a questo punto lo sappiamo: con gli psichedelici, il contesto non è un contorno, è parte attiva dell'effetto.

Alla prossima! 😎 

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Se non l’hai già fatto, ti invito a sostenere queste due importanti iniziative di raccolta firme:

  • PsychedeliCare: un’Iniziativa dei Cittadini Europei per promuovere la ricerca e l’uso medico degli psichedelici nella salute mentale. 👉 Firma qui

  • Terapie psichedeliche per il fine vita: una petizione italiana per consentire l’uso degli psichedelici nelle cure palliative e terminali. 👉 Firma qui

Puoi approfondire queste due iniziative leggendo questa mia precedente newsletter.

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