Dentro l'industria psichedelica

Il lato nascosto della ricerca psichedelica

Nella medicina psichedelica c’è un pezzo di storia che spesso resta fuori dall’inquadratura. Tutti guardano ai risultati clinici, ai dosaggi, agli endpoint primari, pochissimi si soffermano sulla parte che tiene in piedi tutto il resto: le aziende, i mercati, le aspettative economiche, la logica con cui si decide che un farmaco fa speranza o non conviene più. È il lato meno romantico della psichedelia, ma è anche quello che plasma il modo in cui questa terapia arriverà (o non arriverà) ai pazienti.
Non possiamo capire il futuro degli psichedelici se non capiamo come funzionano le aziende che li stanno portando sul mercato. Soprattutto, come funzionano le storie che queste aziende raccontano per attirare investitori. Perché la psichedelia commerciale è stata costruita fin dall’inizio più sulle promesse che sui dati, e oggi lo stiamo pagando.
Questo articolo prova a spiegare cosa è successo al settore negli ultimi anni.

L’articolo usa un concetto centrale: la capitalizzazione come forma di potere. Quando parliamo di capitalizzazione non parliamo solo di quanto vale un’azienda in borsa. Parliamo del valore che il mercato attribuisce alla sua capacità di controllare qualcosa del mondo reale (in questo caso la salute mentale) e di trasformare quel controllo in profitto futuro.
In altre parole, il prezzo di un’azienda psichedelica non riflette ciò che fa oggi, ma quanto gli investitori credono che riuscirà a modellare, standardizzare e incasellare l’esperienza psichedelica in un prodotto vendibile. È questo il vero potere della capitalizzazione, non descrive il presente, ma misura quanto riteniamo che un’azienda riuscirà a piegare la realtà ai propri obiettivi economici.

Nella biopharma psichedelica questo potere è quasi tutto fondato su promesse, perché fino all’approvazione regolatoria un'azienda vive di cassa, burn rate, brevetti e hype.
Le aziende psichedeliche non hanno ricavi, non hanno prodotti approvati, non hanno alcun motivo solido per valere centinaia di milioni. Ma la promessa è perfetta: una molecola antica, una crisi globale di salute mentale, e un gruppo di imprenditori molto bravi a vendere speranza in formato PowerPoint.

Gli psichedelici si inseriscono dentro questa logica aziendale in modo ancora più complicato rispetto a un qualsiasi farmaco, perché sono asset difficili da standardizzare e ancora più difficili da controllare: hanno radici indigene, usi underground, un’esperienza soggettiva che non si piega ai protocolli, e uno stigma sociale ancora vivo. Eppure, dal 2016 in poi, gli investitori hanno fatto finta che tutto fosse sotto controllo. Complice Compass Pathways, complici atai e MinMed, complice un’ondata di narrazioni del tipo “questa volta la psichedelia salverà il mondo”. Sembrava l’inizio di una nuova era.

Poi è arrivato il 9 novembre 2021, ed è come se qualcuno avesse tolto l’incantesimo: Compass pubblica i risultati della fase 2b, che poi non erano nemmeno drammaticamente negativi, ma la bolla psichedelica reagisce con un –30% in borsa in un giorno.
La realtà rientra dalla finestra. E da lì è stato un lungo declino: investimenti in calo, tassi di interesse che colpiscono tutte le biotech ma quelle psichedeliche anche di più, brevetti fragili, e infine il colpo di grazia nel 2024, con la FDA che respinge l’MDMA di Lykos.

Non è facile isolare il farmaco dalla psicoterapia. Non è facile standardizzare un’esperienza che nasce proprio dalla sua non-standardizzabilità. Insomma: per renderli farmaci normali bisognerebbe togliergli ciò che li rende psichedelici.
Qui l’articolo arriva al punto: la crisi ha spinto le aziende a cercare di addomesticare gli psichedelici con la corsa ai composti di nuova generazione che promettono neuroplasticità senza trip. È un tentativo di rendere tutto più prevedibile, più controllabile, più regolatorio. Ma al prezzo di snaturare proprio quel fenomeno (l’esperienza soggettiva) che secondo molte pratiche, terapeuti e comunità indigene è parte integrante della guarigione.
Magari funzioneranno, non lo escludo. Ma è evidente che questa spinta nasce da una necessità commerciale, non da un ragionamento clinico, e questo dovrebbe far riflettere

La parte sui brevetti è quasi tragicomica. Alcune aziende hanno provato a brevettare praticamente tutto, persino parte del set&setting, come se il contesto terapeutico fosse un’invenzione recente e non un concetto che esiste da decenni nelle comunità underground e nelle pratiche indigene. Non è andata bene: brevetti contestati, ritirati, ridimensionati. Una prova ulteriore che gli psichedelici resistono ai tentativi di essere imprigionati in forme proprietarie.

A livello personale, è esattamente questo il motivo per cui seguo così da vicino la storia delle aziende. Perché qui c’è una tensione strutturale che definisce il futuro della medicina psichedelica: da un lato la necessità di rendere il trattamento scalabile, sostenibile, approvabile; dall’altro la consapevolezza che l’esperienza psichedelica non è facilmente riducibile a una molecola isolata dal contesto. In mezzo ci sono gli investitori, che oscillano tra l’euforia e la sfiducia a seconda di quanto il dato clinico somigli o meno a ciò che si aspettano da un farmaco tradizionale.

La storia di MinBio Therapeutics sul microdosing è emblematica a tal proposito.
Prima pubblicano i risultati della fase 2a definendoli promettenti, poi pochi giorni dopo annunciano (con un linguaggio sorprendentemente morbido) che la fase 2b non raggiunge alcun endpoint. Non c’è una vera spiegazione tra un comunicato e l’altro, non c’è un’analisi del perché due risultati così diversi emergano a distanza di giorni, non c’è nemmeno un tentativo di chiarire al pubblico cosa significhi davvero “promettente” in uno studio open-label e cosa significhi “nessun effetto” in uno studio controllato.

È un caso perfetto per capire cosa succede quando una narrativa aziendale si costruisce più velocemente dei dati. I comunicati stampa non sono pensati per spiegare la scienza, sono pensati per mantenere vivo l’interesse degli investitori. Le sfumature, le limitazioni metodologiche, la differenza tra un segnale preliminare e un vero risultato clinico, tutto questo tende a sparire. Non perché le aziende nascondano qualcosa, ma perché tutto ciò che non è immediatamente spendibile viene spinto sotto il tappeto. E se non hai tempo, strumenti e contesto, fai fatica a capire che cosa realmente sia successo.

La maggior parte delle persone non legge i supplementi metodologici. Non confronta disegno, durata, controlli, criteri di inclusione. Si limita al titolo del comunicato stampa, e quel titolo è scritto per essere il più ottimista possibile, anche quando i dati sono molto meno entusiasmanti. È successo con MindBio ma succede da anni, prima si enfatizza un segnale preliminare, poi quando arriva il dato controllato e non conferma l’hype, si cambia tono, si parla di “nuovi percorsi strategici”, di “necessità di analisi approfondite”, di “complessità”. Ma il punto è uno: i dati non reggono la narrativa precedente.

E questo non è un incidente isolato, è un pattern. È il motivo per cui seguo così da vicino la dimensione aziendale della psichedelia, perché la distanza tra ciò che viene comunicato e ciò che i dati effettivamente mostrano è spesso enorme. Non è sempre facile accorgersene, soprattutto quando il linguaggio è tecnico, i protocolli sono complessi e i comunicati stampa sono scritti per attirare non gli scienziati, ma gli investitori.

Questa dinamica con picchi di entusiasmo, comunicati ottimisti, dettagli nascosti nei margini, non è una deviazione dal sistema, è il sistema, ed è uno dei motivi per cui il settore psichedelico continua a oscillare così violentemente, perché si regge su un equilibrio instabile tra scienza, mercato e narrazione.

La conclusione dell’articolo è ambivalente: il mercato non è morto, ma è disincantato. C’è una nuova amministrazione americana che potrebbe cambiare qualcosa, ma lo abbiamo visto anche pochi mesi fa: Compass pubblica i risultati di fase 3, raggiunge l’endpoint primario, nessun nuovo problema di sicurezza… e il titolo in borsa crolla del 50%. Il dato clinico conta, ma conta ancora di più la narrativa su quanto questi trattamenti potranno essere realmente implementati su larga scala.

Gli psichedelici, per come sono, mettono in crisi l’idea stessa di controllo su cui si basa la logica del mercato farmaceutico. Nascono in ambienti dove il profitto non è mai stato l’obiettivo, hanno una storia che non è aziendale, ma culturale. Gli psichedelici mettono in crisi i modelli economici che vorrebbero incasellarli. Sono asset ribelli, esperienze ribelli, e forse (se davvero funzionano) continueranno a esserlo.

Alla prossima! 😎 

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  • PsychedeliCare: un’Iniziativa dei Cittadini Europei per promuovere la ricerca e l’uso medico degli psichedelici nella salute mentale. 👉 Firma qui

  • Terapie psichedeliche per il fine vita: una petizione italiana per consentire l’uso degli psichedelici nelle cure palliative e terminali. 👉 Firma qui

Puoi approfondire queste due iniziative leggendo questa mia precedente newsletter.

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