Ayahuasca vs Pharmauasca

Dalla tradizione amazzonica alla clinica moderna

Come sta andando la ricerca dei regali di Natale? 😆 

Dicembre è decisamente un mese impegnativo per tutti, pieno di cose da fare e mille cene da incastrare in agenda.
Nonostante il calendario che urla dalla disperazione, cercherò di essere il più diligente possibile e inviare la newsletter con la consueta regolarità. La parola chiave qui è “cercherò”, ci provo, ma nessuna promessa! 🙃 

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Ora passiamo al pezzo bomba di oggi.

Sarà che l’hanno scritto degli svizzeri, ma l’articolo che ti porto è uno dei più dettagliati, precisi, meticolosi, rigorosi e trasparenti che ho analizzato finora.

Sto parlando di questo trial esplorativo in cui si analizzano nuove vie di somministrazione di N,N-Dimetiltriptamina (DMT) e armina (MAOI), per cercare di superare la difficile gestione clinica dell’ayahuasca tradizionale.

Già l’introduzione, secondo me, è fatta benissimo: ci sono premesse interessanti e spiegazioni chiare sul perché Dornbierer et al. hanno deciso di studiare questo argomento specifico.

Infatti, nonostante il potenziale clinico degli psichedelici per il trattamento dei disturbi psichiatrici (e non solo) sia ormai largamente riconosciuto, traslare questo potenziale nella pratica clinica quotidiana è più difficile del previsto, e non soltanto per gli scogli legislativi e culturali che ne ostracizzano l’uso, ma anche per la complessa gestione farmacologica di queste sostanze.

La lunghissima durata d’azione di LSD (10-12 ore) e psilocibina (4-6 ore), implica rischi per pazienti vulnerabili, oltre che costi esorbitanti per coprire la struttura e i professionisti sanitari; inoltre, sia LSD che psilocibina, possono indurre tolleranza e sono quindi poco adatti a regimi di somministrazione ripetuta.
Al contrario, la ketamina ha dimostrato ottimi effetti antidepressivi per somministrazioni ripetute, ma ha il rischio di creare dipendenza.

Qui entra in scena l’ayahuasca, un decotto tradizionalmente usato in Amazzonia e preparato con la liana Banisteriopsis caapi e le foglie di Psychotria viridis.
Le foglie contengono DMT, che produce gli effetti psichedelici, mentre la liana contiene beta-carboline (armina, armalina, tetraidroarmina) che vanno ad inibire gli enzimi MAO presenti a livello gastrico ed intestinale. Senza gli inibitori delle MAO, infatti, la DMT verrebbe degradata rapidamente, producendo scarsi risultati psichedelici.

Nonostante l’ingestione dell’ayahuasca sia considerata sicura, la sua assunzione è accompagnata da numerosi effetti collaterali (vomito, diarrea, rialzi pressori, stress..).
Se questa sua azione “purgativa” è vista come terapeutica dalle popolazioni indigene che ne fanno uso, sintomi di questo tipo nella medicina moderna occidentale vengono appunto visti come effetti collaterali, andando così a compromettere l’eventuale approvazione di questo decotto come terapia vera e propria (il foglietto illustrativo dell’ayahuasca sarebbe così lungo che ci potresti incartare tutti i regali di Natale che ancora ti rimangono da comprare).

Gli autori ci tengono elegantemente a precisare che non è loro intenzione denigrare le tradizioni di popoli antichi, ma lavorano in Svizzera e in farmacia sotto prescrizione medica per il trattamento di una malattia mentale non ti danno due piante da far bollire in un pentolone.
Punti di vista.

Risulta difficile determinare la farmacocinetica e la farmacodinamica dell’ayahuasca, c’è troppa variabilità tra una preparazione e l’altra, non sappiamo quale sia una dose terapeutica adeguata, può causare reazioni psicosomatiche di difficile gestione, insomma, ci sono troppe problematiche nell’uso dell’ayahuasca intesa come farmaco occidentale.

Se ti sei perso la precedente newsletter dove parlo della farmacocinetica e della farmacodinamica della DMT ti consiglio di recuperarla 😉 

L’utilizzo di forme purificate di DMT e armina (un mix chiamato pharmauasca) possono invece permettere un dosaggio preciso e controllato, si può bypassare il tratto gastrointestinale per evitare la variabilità individuale nella distribuzione delle MAOI e del metabolismo epatico, azzerando così la maggior parte degli effetti collaterali, decisamente un utilizzo più consono al sistema sanitario nazionale.

Quello che decidono di provare Dornbierer et al. è di mettere a confronto da un lato la somministrazione di DMT orale + armina orale sotto forma di capsule, e dall’altro la somministrazione di DMT intranasale + armina orodispersibile, con almeno una settimana di pausa tra le dosi, in 10 volontari maschi sani (le femmine sono state escluse per evitare il potenziale impatto del ciclo mestruale sulla biochimica dei prelievi ematici eseguiti durante gli esperimenti).

Sempre per tornare sul cliché degli svizzeri precisini, nell’articolo vengono spiegati nel minimo dettaglio tutti i procedimenti farmaceutici utilizzati per produrre le sostanze del trial, le ditte produttrici, i macchinari di analisi, per la miseria ti dicono pure per quanti minuti hanno fatto mandare le provette in centrifuga.
Precisi, precisi, precisi, e questo ci piace tantissimo, perché più sei preciso, meno sei attaccabile.

Pure le figure sono fatte bene, esplicative ed esaustive.

In pratica l’esperimento è stato suddiviso in due blocchi di somministrazione:

  • giorno 1 e 2, in cui i soggetti hanno ricevuto DMT orale (a due diversi dosaggi) + armina orale;

  • giorno 3 e 4, in cui i soggetti hanno ricevuto DMT intranasale (due diversi dosaggi ripetibili fino a 9 volte) + armina orodispersibile; in particolare il dosaggio della DMT era personalmente gestito dal soggetto in base a come si sentiva con il passare del tempo.
    Nella tabella qui sotto puoi vedere che il primo dosaggio di 10 mg è stato assunto da tutti e 10 i partecipanti, mentre per esempio il quarto dosaggio del giorno 3 è stato scelto solo da 9 partecipanti perché un soggetto ha preferito non assumere la dose.

I ricercatori ci dicono che non sempre è stato possibile analizzare i prelievi di sangue effettuati perché in alcuni casi c’è stata rottura dei globuli rossi nella provetta e questo avrebbe potuto alterare l’analisi.
Una motivazione molto plausibile ed anche un evento che può avvenire in seguito al prelievo, non siamo di certo di fronte ad una scusa assurda tipo “lo sfigmomanometro non funziona” (questo errore della COMPASS Pathways proprio non mi va giù, non riesco a dimenticarlo 🤭 ).

Ci sono stati effetti collaterali? Lieve nausea e lieve rialzo pressorio con la DMT orale, praticamente il nulla cosmico con la DMT intranasale.
Per rimanere sul filone del trasparenza assoluta, c’è un’intera pagina con la tabella degli effetti collaterali, elencati con una precisione che credo debba diventare lo standard minimo richiesto per i trial psichedelici.

Passiamo quindi ai risultati.

Con la DMT orale c’è stata enorme differenza interindividuale sia per gli effetti soggettivi percepiti che per la variabilità della concentrazione plasmatica di DMT (fattore di 6,8) ed armina (fattore di 55,5).
Questa varietà può essere attribuita alla diversa espressione soggettiva di inibitori della MAO fisiologici e alle diverse espressioni alleliche degli enzimi epatici che degradano l’armina.
Una preparazione del genere, considerati anche alcuni effetti collaterali, non raggiungerebbe i requisiti di rischio/benefici e sicurezza/tollerabilità richiesti per una approvazione terapeutica.

Con la DMT intranasale e l’armina orodispersibile invece è stato possibile ottenere un profilo farmacocinetico più omogeneo (variazione di 2,3 per la DMT e di 3,2 per l’armina).
Questo perché l’orodispersione bypassa completamente il tratto gastrointestinale, saltando tutte le problematiche viste per la formulazione orale.
Inoltre l’autossoministrazione ha permesso di modulare il dosaggio in base alla tollerabilità individuale, garantendo una gestione più controllata e sicura dell’esperienza psichedelica.
Data l’altissima tollerabilità riscontrata, la combinazione di DMT intranasale e armina orodispersibile potrebbe essere un approccio innovativo per una terapia sicura, ad azione rapida e personalizzata sulle esigenze del paziente.

Viene inoltre proposto di valutare anche l’utilizzo della sola DMT intranasale senza l’aggiunta di armina.

Ci tengo a concludere facendo alcune considerazioni.

Non c’è niente di sbagliato nell’utilizzo dell’ayahuasca tradizionale, anzi le sacre tradizioni indigene fanno spesso apparire noi moderni occidentali alquanto rincoglioniti.
C’era quindi la necessità di creare questa pharmauasca invece di rendere disponibile per tutti una pratica millenaria?
Sì.
L’FDA o l’EMA e il sistema sanitario nazionale, per come sono attualmente strutturati, non possono permettere l’approvazione di una terapia del genere e risulta quindi importante cercare strade alternative per poter ottenere il beneficio terapeutico in modo legale.
Questo non significa che la legalità del momento sia necessariamente la migliore situazione possibile.

Infine ci tengo a fare un applauso lungo una giornata intera a questi ricercatori svizzeri che hanno creato un articolo veramente con i fiocchi, un procedimento scientifico impeccabile che dovrebbe davvero essere preso ad esempio da tutti i futuri trial psichedelici.
Valutando anche gli articoli scientifici che ho analizzato finora (qui trovi l’archivio aggiornato), mi fa piacere notare che gli articoli europei tendono a presentare una rigorosità che manca in quelli americani.
Nonostante gli Stati Uniti siano all’avanguardia nella ricerca scientifica psichedelica e nelle approvazioni legali di queste sostanze, credo sia importante volgere lo sguardo anche alla nostra vecchia Europa, che di saggezza ne ha da vendere.

Alla prossima!