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ADHD e microdosing
Gli psichedelici sono in grado di alleviare i sintomi del disturbo da defcit di attenzione iperattivtà?
Oggi ti voglio parlare di questo articolo piuttosto interessante che analizza il microdosing nel disturbo da deficit di attenzione iperattività (ADHD).
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Gli autori olandesi hanno intervistato 233 persone con diagnosi di ADHD che avevano deciso spontaneamente di iniziare un percorso di 4 settimane di microdosing, ossia l’assunzione di una piccolissima quantità di psichedelici.
Se mi segui ormai da un po’ sai che il microdosing è un argomento che mi sta particolarmente a cuore perché è stato quello che mi ha fatto avvicinare al mondo degli psichedelici.
Si tratta di un argomento controverso perché non ci sono ancora studi clinici che validano a pieno questa pratica, anche se le testimonianze sui suoi benefici sono numerosissime. Tuttavia non è ancora ben chiaro se si tratta di semplice effetto placebo.
Haijen et al. non si sono lasciati scoraggiare e hanno comunque deciso di andare a valutare gli eventuali benefici del microdosing in un ambiente non clinico.
Questo significa che i soggetti partecipanti hanno continuato ad assumere regolarmente anche la loro terapia di base per l’ADHD, cosa da non sottovalutare assolutamente.
Inoltre, i parametri dell’analisi sono stati molto precisi e ben delineati, dato che hanno deciso di indagare nello specifico come il micordosing possa influire in positivo o in negativo sul tratto della mindfulness e sul tratto della personalità nelle persone affette da ADHD.
Andiamo con ordine. Ti riporto direttamente quello che dicono gli autori.
Il tratto della mindfulness può essere descritto come quella tendenza generale ad essere consapevoli ed attenti nella vita di tutti i giorni, essere in grado di dedicare e mantenere attenzione all’esperienza del presente, essere non giudicanti e non reattivi verso pensieri intrusivi.
La mindfulness può essere grossolanamente suddivisa in due diverse dimensioni:
auto-regolazione di attenzione, caratterizzata dall’osservare i propri pensieri, le proprie emozioni e sensazioni e diventarne consapevoli senza rimuginarci sopra;
auto-regolazione di accettazione, che implica mantenere una mente aperta ed accogliere l’esperienza inibendo le risposte impulsive.
Per misurare questo tratto si utilizza il Five Facet Mindfulness Questionnaire, un questionario che valuta cinque diversi aspetti della mindfulness: la capacità di osservare le esperienze esterne ed interne, la bravura nel descriverle, l’abilità di porre l’attenzione sul momento presente, l’accettazione priva di giudizio delle emozioni e dei pensieri, e infine il distacco da queste emozioni e pensieri.
In linea generale, le persone con ADHD hanno punteggi inferiori in questo test rispetto alla popolazione generale.
Per quanto riguarda invece i tratti della personalità, ne avevo già parlato in una precedente newsletter.
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Chi ha diagnosi di ADHD di solito ha un punteggio inferiore di coscienziosità e uno più alto di nevrosi. Anche i tratti di piacevolezza ed estroversione tendono ad essere leggermente più bassi, mentre il tratto dell’apertura non ha correlazioni rilevanti.
Fatta questa lunga premessa, andiamo a vedere lo studio un po’ più in dettaglio.
L’80% degli intervistati aveva già avuto esperienza di meditazione e mindfulness, mentre l’82% aveva già sperimentato psichedelici in passato.
I 233 partecipanti sono diventati 66 all’intervista della seconda settimana e 44 a quella della quarta settimana.
Questo perché purtroppo quando si decide di portare avanti uno studio in ambiente non clinico, il tasso di abbandono tende ad essere piuttosto alto: già non rispondi alle email di lavoro, figurati se ti metti a rispondere all’email di qualche ricercatore che ti chiede se stamani ti sei goduto la sensazione dell’acqua e del calore sotto la doccia senza stare a pensare alla lista della spesa.
Quali sono stati i risultati osservati?
a 4 settimane, tutti i 5 aspetti del tratto della mindfulness erano aumentati rispetto ai valori di partenza, raggiungendo punteggi simili a quelli della popolazione generale;
il tratto nevrotico della personalità era diminuito, pur rimanendo più alto rispetto alla popolazione generale;
la terapia per l’ADHD non ha influenzato i cambiamenti riscontrati.
Un’altra cosa che è stata osservata è che in studi precedenti il tratto della nevrosi aumentava con l’uso di psichedelici invece che diminuire.
Forse questo può derivare dall’assenza di assunzioni precedenti di psichedelici, mentre nel nostro caso la maggioranza li aveva già sperimentati.
Se così fosse, tale informazione potrebbe essere utile nella gestione di una eventuale terapia psichedelica, evidenziando il fatto che la preparazione del paziente è fondamentale.
A questo punto sorgono alcune domande.
La prima: il fatto che i partecipanti allo studio avessero per la gran parte avuto precedenti esperienze con gli psichedelici, ha influito sulle risposte che hanno dato? Può la loro aspettativa aver “gonfiato” i risultati?
Poi c’è da considerare che questi dati non possono ovviamente essere considerati attendibili al 100%, perché non è possibile accertarsi né della sostanza usata né dei dosaggi precisi, la gente ti dice un po’ quello che gli pare.
Inoltre, le persone hanno abbandonato lo studio perché erano pigre e non avevano voglia di rispondere ai questionari, oppure il microdosing non stava funzionando? Nel secondo caso significa che i risultati ottenuti hanno un bias enorme verso l’efficacia del microdosing.
E per concludere, la domanda delle domande: se questi pazienti con ADHD facessero un corso di meditazione, riceverebbero gli stessi benefici che hanno riscontrato con il microdosing? Meditazione e microdosing insieme potrebbero avere un effetto sinergico?
Alla prossima! 😉