- Studio Aegle
- Posts
- Microdosing ed effetto placebo
Microdosing ed effetto placebo
Quando la statistica medica smaschera un'aspettativa eccessiva
Ciao!
Come hai passato il Ferragosto?
Dopo un’abbondante mangiata con parenti non ho saputo resistere, mi sono rimessa a frugare l’internet per studiare qualcosa di nuovo sugli psichedelici, e devo dire che ho trovato una piccola perla.
Ho infatti iniziato a seguire questo corso online sugli psichedelici dell’Università di Berkeley (GRATUITO FINO AL 27 OTTOBRE 2023!).
Si tratta di un corso introduttivo agli psichedelici, è fatto molto bene ed è estremamente chiaro. I video delle lezioni sono in inglese con i sottotitoli, che puoi anche scaricare per rileggere il tutto con calma.
Esiste inoltre la versione a pagamento che, in seguito ad esame, ti permetterà di avere un certificato di partecipazione.
Se sei nuovo nel mondo degli psichedelici, o se sei uno psiconauta navigato che ha voglia di sentire cosa ha da dire il Professor David Presti a riguardo, ti consiglio di dare un occhio al corso, è semplice e piacevole da seguire.
Potevo stare una settimana intera senza leggermi un articolo scientifico sugli psichedelici?
Ovviamente no 😆
Devo ammettere però che stavolta è stata dura per me mantenere un approccio scientifico.
Ho infatti studiato questo recente articolo che parla di effetto placebo e microdosing, firmato niente meno che dal team di Robin Carhart-Harris all’Imperial College.
Il microdosing (l’assunzione di piccolissime quantità di sostanze psichedeliche) è un argomento che mi sta particolarmente a cuore perché è quello che mi ha avvicinato al mondo degli psichedelici più di un anno fa, in un momento difficile della mia vita tra ansia e lieve depressione.
Ero già a conoscenza delle numerose diatribe che ruotano intorno all’effetto placebo del microdosing e alla sua sostanziale inutilità terapeutica da un punto di vista statistico.
Anche per queste ragioni quando ho iniziato il mio percorso ero abbastanza scettica, nonostante le tantissime esperienze positive riportate in internet.
Mi sono ricreduta istantaneamente e posso sostenere che il microdosing con psilocibina mi ha aiutato a (ri)trovare un equilibrio mentale.
Ho poi intrapreso un secondo ciclo a mesi di distanza, giusto per la curiosità di vedere gli effetti anche da sana, e ammetto che non ho poi percepito questo granché, se non una maggiore introspezione e calma.
Quando ho letto l’articolo di Szigeti et al. non mi sono quindi particolarmente stupita nel constatare che, per l’ennesima volta, il microdosing viene considerato un placebo attivo: se il paziente ha un’aspettativa positiva sull’effetto del farmaco, anche se assumesse un placebo riporterebbe comunque degli effetti positivi tanto quanto la sua aspettativa.
Gli studi che dovrebbero essere in doppio cieco (ossia né i pazienti né gli operatori sanno se viene somministrato farmaco o placebo) ma che nel loro disegno prevedono un placebo attivo, incappano in quello che i ricercatori inglesi chiamano activated expectansy bias (AEB).
Non starò ad incastrarmi in spiegazioni statistiche che tutto sommato non ho capito bene nemmeno io.
Statistica medica è quella materia onnipresente, sia all’università di medicina che in qualsiasi specializzazione, ma che nonostante i numerosi esami non mi è mai entrata in testa 🤣
Il team dell’Imperial College ci dice che è riuscito a calcolare questo errore dato dall’AEB.
Quello che è venuto fuori in seguito a tutti i calcoli è che:
il microdosing non ha un beneficio medico dal punto di vista statistico, pur mantenendo i suoi numerosi effetti percepiti;
tutti gli studi scientifici, non solo quelli sugli psichedelici, dovrebbero includere l’AEB nei loro calcoli statistici, perché se lo facessero forse tanti farmaci in realtà non verrebbero approvati (decisamente un argomento che fa riflettere).
Una delle cose che ho apprezzato di più dell’articolo è che ha utilizzato come campione ben 191 soggetti che hanno assunto il microdosing a casa in totale autonomia.
Infatti, uno dei principali punti portati a sostegno del microdosing dai suoi affezionati, è che gli studi scientifici vengono fatti in un contesto che è lontanissimo dalla realtà dei consumatori, e che quindi falsando il setting anche i dati non saranno veritieri (e sappiamo quanto il setting sia importante negli psichedelici).
I soggetti scelti erano anche soggetti sani, e per esperienza personale posso confermare che non è facile distinguere i giorni on microdosing dai giorni off quando si parte da una condizione di salute stabile.
Partendo da una situazione di salute instabile, invece, funziona?
Nel mio caso ha funzionato. O magari è stato solo un meraviglioso placebo attivo. Diciamo che non mi preme molto scoprirlo 😅
Ci sono alcuni punti chiave sulla pratica del microdosing che effettivamente è difficile inserire in uno studio scientifico, come per esempio l’integrazione (journaling, meditazione, momenti di pausa per entrare in contatto con le proprie emozioni e sensazioni), oppure l’estrema variabilità dei protocolli di assunzione (Fadiman, Stamets, intuitivo, notturno, Microdosing Institute…).
Per il momento, nonostante le miriadi di esperienze positive, rimaniamo sul fatto che il microdosing non è stato ancora validato dalla comunità scientifica come beneficio medico.
Punto.
Vorrei però salutarti lasciando questa citazione, riportata nell’articolo di Szigeti et al. e ripresa da questo articolo di revisione della letteratura sul microdosing.
“These findings together provide clear evidence of psychopharmacological effects. That is, microdosing is doing something. A key question for researchers is whether the effects of microdosing have clinical or optimization benefits beyond what might be explained by placebo or expectation.”
Non sei ancora iscritto alla newsletter?