Microdosing e danni cardiaci

Rischio di fibrosi cardiaca e valvulopatia nella pratica del microdosing

Devo ammettere che negli ultimi giorni il mondo psichedelico ha assorbito tanto del mio tempo, le notizie succulente sono ormai quotidiane e la curiosità mi spinge in tunnel vorticosi di informazioni che non sempre sono di facile comprensione.

Persa tra finanziamenti milionari e pipeline ingarbugliate, mi sono ritrovata a preparare la newsletter all’ultimo secondo, ma l’argomento è uno dei miei preferiti, non potevo certo rimandare il nostro appuntamento settimanale senza presentarti questo articolo revisione sui possibili danni cardiaci indotti dal microdosing.

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Si parte dal presupposto che non ci sono attualmente studi validati sugli effetti del microdosing. I pochi che sono usciti, non sono stati in grado di dirimere il grande dubbio: il microdosing funziona oppure è un effetto placebo?

Nonostante questo, tantissime persone ne fanno uso, addirittura il 17% della popolazione lo ha sperimentato ad un certo punto della vita secondo un sondaggio del 2020 (1).

Ne deriva che è decisamente importante studiarne gli effetti e la sicurezza.
A maggior ragione considerando che molecole simili agli psichedelici sono state correlate a fibrosi e valvulopatia. Un ispessimento delle valvole cardiache, spesso difficile da risolvere, può portare a rigurgito, aritmie ed insufficienza cardiaca.
Con un microdosing prolungato nel tempo, il rischio di sviluppare queste patologie potrebbe essere aumentato.

Di certo sappiamo da uno studio del 2007 che il 28% di 33 persone che hanno assunto in media 3,6 pasticche di MDMA a settimana per 6 mesi hanno presentato danni cardiaci (2).
Non un regime che consiglierei, ecco 😅 

Rouaud et al. ci elencano quelle molecole simili agli psichedelici che negli anni sono state correlate a cardiopatia e quasi sempre ritirate dal mercato:

  • metisergide, che era stata sintetizzata dalla Sandoz a partire dall’LSD e che era risultata piuttosto efficace nella terapia dell’emicrania a grappolo;

  • ergotamina, strutturalmente simile all’LSD;

  • diidroergotamina, anche questa contro le emicranie;

  • carbegolina e pergolide, altri derivati dell’ergot ed utilizzati nel trattamento del Parkinson;

  • fenfluramina ed il suo metabolita norfenfluramina, derivati amfetaminici usati come agenti anoressizzanti.

Tutti questi farmaci (o i loro metaboliti) pare siano agonisti del recettore 5-HT2BR della serotonina.

I fibroblasti, responsabili della fibrosi e della valvulopatia, esprimono fortemente 5-HT2BR.
Una stimolazione continua e prolungata nel tempo del recettore provoca proliferazione dei fibroblasti con conseguente cardiopatia, un’associazione già dimostrata con modelli murini (2,3).

LSD, psilocibina e MDMA sono agonisti di 5-HT2BR.

Senza entrare troppo in dettagli farmacologici (che francamente risultano difficoltosi anche per me - i miei esami di farmacologia risalgono a tanti anni fa 🙈 ), è stato visto che prendendo come riferimento la costante di inibizione Ki di ogni farmaco, quelli che hanno un Ki inferiore a 15 nM e che si legano a 5-HT2BR tendono ad essere correlati con fibrosi cardiaca.

Sappiamo che l’LSD ha un Ki di 0,98 per 5-HT2BR e la psilocina di 4,66 (ma la psilocibina di 98,7), e sono quindi teoricamente in grado di aumentare il rischio di fibrosi cardiaca.
L’MDMA ha un Ki per 5-HT2BR di 500 nM, ma causa lo stesso cardiopatie perché rilascia grandi quantità di serotonina che va indirettamente a promuovere la proliferazione fibroblastica.

Inoltre, nonostante nel microdosing si assumano dosi piccolissime di psichedelici, la concentrazione plasmatica raggiunta da una dose media di microdosing (sia per LSD che per psilocibina) è paragonabile, se non addirittura maggiore, a quella di farmaci cardiotossici come carbegolina e pergolide.

Nessuna di queste informazioni è rassicurante per chi pratica microdosing.
C’è però da considerare che tali supposizioni si basano su osservazioni fatte per farmaci assunti in cronico e quotidianamente, cosa che in verità non succede praticamente mai nel microdosing, che prevede invece sempre giorni di riposo tra un’assunzione e l’altra in percorsi che durano di solito poche settimane.

Non per questo si può far finta di niente e snobbare tutti questi dati.
Risulta chiaro quanto sia importante studiare l’argomento più in dettaglio e con studi disegnati ad hoc.

Spero che in questo 2024 si riesca finalmente a fare chiarezza sui tanti aspetti del microdosing che ancora ci lasciano nel dubbio e in bilico tra opinioni contrastanti.

Alla prossima!

Bibliografia

1) Cameron LP, Nazarian A, Olson DE. Psychedelic Microdosing: Prevalence and Subjective Effects. J Psychoactive Drugs. 2020;52(2):113-122. doi:10.1080/02791072.2020.1718250

2) Droogmans S, Cosyns B, D'haenen H, et al. Possible association between 3,4-methylenedioxymethamphetamine abuse and valvular heart disease. Am J Cardiol. 2007;100(9):1442-1445. doi:10.1016/j.amjcard.2007.06.045

3) Ayme-Dietrich E, Lawson R, Côté F, et al. The role of 5-HT2B receptors in mitral valvulopathy: bone marrow mobilization of endothelial progenitors. Br J Pharmacol. 2017;174(22):4123-4139. doi:10.1111/bph.13981