Quando la psilocibina spegne il dolore

Un ponte tra dolore e coscienza

Il dolore cronico è uno di quei problemi irrisolti della medicina. E spesso non viene da solo: si porta dietro l’ansia, la depressione e una buona dose di disperazione. È un intreccio difficile da sciogliere, il dolore peggiora l’umore, l’umore amplifica il dolore, e la medicina, finora, ha cercato di curarli uno per volta, come se abitassero in corpi diversi.

Ma se bastasse un solo intervento per allentare entrambi i nodi?

In questo studio pubblicato sulla nostra preferita Nature, un gruppo di ricercatori ha provato a scoprirlo usando la psilocibina, e per farlo, ha messo alla prova dei topini che ne hanno vissute di ogni (lesioni nervose, infiammazioni, test comportamentali ripetuti) perché, purtroppo, è così che funziona la scienza quando si tratta di capire il dolore.

In questi modelli murini, una sola dose di psilocibina è bastata per invertire rapidamente e in modo duraturo sia l’ipersensibilità al tatto (l’allodinia) sia i comportamenti ansiosi e depressivi. L’effetto è comparso in un giorno, è durato per quasi due settimane e non dipendeva dal sesso degli animali. In pratica: una singola somministrazione, e la sofferenza cronica si è spenta.

La cosa interessante è che la psilocibina in sé è inattiva: il cervello la trasforma nel suo metabolita, la psilocina, che agisce sui recettori della serotonina. Ma non li accende del tutto, come farebbe un interruttore: li modula, li sfiora, li riequilibra. E qui sta il punto. Quando i ricercatori hanno bloccato anche solo uno dei recettori coinvolti (5-HT2A o 5-HT1A), l’effetto è sparito. Quando li hanno attivati completamente, con agonisti selettivi, non è successo nulla.
Come dire: non serve un urlo chimico, basta un sussurro nella frequenza giusta.

Secondo gli autori, la psilocina agisce come un direttore d’orchestra gentile: attenua l’attività neuronale eccessiva attraverso i recettori 5-HT1A, riattiva le cellule che modulano il dolore e migliorano l’umore tramite i 5-HT2A, e ristabilisce l’equilibrio tra i due. Lo fa, forse, anche passando da recettori laterali come 5-HT2B, 5-HT2C o addirittura il recettore TrkB, quello del BDNF, la proteina della plasticità neuronale.
Una danza recettoriale complessa, che spiega perché la psilocibina non sia semplicemente un antidepressivo o un analgesico, ma qualcosa di più: un “regolatore” della percezione, dell’esperienza, dell’adattamento.

Il cuore di tutto questo processo sembra trovarsi nella corteccia cingolata anteriore, una regione del cervello che fa da ponte tra l’elaborazione del dolore e quella delle emozioni. Nei topi con dolore cronico, i neuroni di quest’area sparano senza tregua, come se non riuscissero più a distinguere tra stimolo e sofferenza. Quando la psilocina viene applicata direttamente lì, l’attività si normalizza e quasi per magia il dolore e la tristezza svaniscono insieme.
Certo, non è esattamente un approccio replicabile: iniettarsi psilocina nel cervello non è una strategia consigliata, non fatelo a casa, lo dico perché non si sa mai.. 😅 

Quando invece la stessa sostanza viene iniettata in periferia nel midollo spinale, non succede niente. Il messaggio è chiaro: il dolore non è solo un segnale periferico (sbatto il mignolino nel comodino e sento dolore), ma un costrutto corticale, un modo del cervello di raccontare se stesso (sbatto il mignolino nel comodino e sento dolore, poi parte la bestemmia, la giornata è iniziata malissimo, sono in ritardo, perché a me? Sono una brutta persona).

In questo senso, la psilocibina non agisce semplicemente come un analgesico o un ansiolitico, ma come un ripristino di sistema. Interrompe un circuito mal adattato, riporta silenzio dove c’era rumore, equilibrio dove c’era ridondanza.

Non è un invito a sostituire gli analgesici con funghi, ovviamente (ripetiamolo che fa sempre bene). Ma l’idea che una sostanza psichedelica possa riaccordare le reti neuronali che legano dolore e umore, e farlo in modo duraturo dopo una sola dose, è una di quelle scoperte che obbligano a ripensare non solo la neurobiologia, ma anche la coscienza del dolore stesso.

Alleviare il dolore non significa sempre eliminare il sintomo, ma insegnare al cervello un nuovo modo di sentirlo. Il dolore, a volte, non è che un bug di coscienza mal interpretato.

Alla prossima! 😎 

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