Neuroimmunità e psichedelici

Gli psichedelici come calmanti per cervelli stressati

C’è ancora tempo fino al 16 maggio per partecipare alla Global Psychedelic Survey dell’Università del Michigan. Si tratta della raccolta dati più completa mai condotta sull’uso di sostanze psichedeliche e puoi partecipare se hai più di 21 anni.

Trovi qui la versione in italiano.

Lo studio di oggi, del team di Chung ad Harvard e recentemente uscito su Nature, è una bomba. Ma diciamolo subito: è anche uno studio davvero complesso, pieno di dettagli tecnici e incastri molecolari non proprio immediati.
La mole di esperimenti fatti è inquietante (c'è dentro di tutto, sequencing stellari spettacolari, CRISPR, trapianti di monociti, psilocibina e MDMA come se piovesse), ma sono serviti a spiegare, pezzo dopo pezzo, come lo stress cronico può portare a un comportamento di paura aumentato, e come gli psichedelici riescano a spezzarne il meccanismo.
Cerchiamo di spiegare questo affascinante articolo senza perdere pezzi per strada 😅 

Le interazioni neuro-immuni (cioè i segnali tra cellule immunitarie e cellule cerebrali) regolano tantissimi aspetti della fisiologia dei tessuti, comprese le risposte allo stress psicologico. E queste risposte, se protratte nel tempo, possono favorire lo sviluppo di disturbi neuropsichiatrici.

Come ogni studio bomba che si rispetti, partiamo dai topi. Per stressarli (poverelli), gli autori usano un metodo chiamato chronic restraint stress, che consiste nel chiuderli dentro un tubo ventilato di plastica per sei ore al giorno, per 18 giorni di fila. Non si fanno male, ma non possono muoversi: un incubo se sei un topo curioso e iperattivo. Questo tipo di stress è noto per scatenare risposte psicologiche simili a quelle dello stress cronico umano, senza danni fisici.

Alla fine del trattamento, i topi mostrano un aumento del comportamento di freezing (cioè rimangono immobili quando si trovano in un ambiente che riconoscono come minaccioso), e hanno livelli aumentati di citochine infiammatorie nel sangue, tipo IL-1β, IL-12, TNF e MIP-2.
Si presuppone quindi che ci sia un qualche tipo di collegamento tra stress cronico, risposta infiammatoria, comportamenti di paura e interazioni neuroimmuni.

Punto chiave 1
Lo stress nei topi aumenta:
- la risposta di freezing di fronte ad una minaccia;
- la produzione di citochine infiammatorie nel sangue.

A questo punto, i ricercatori vanno a vedere cosa succede nell’amigdala, che è quella parte del cervello che si attiva quando sentiamo minaccia. In particolare, si concentrano sugli astrociti (non solo cellule di supporto del sistema nervoso, come si pensava una volta, ma attori chiave nella regolazione delle emozioni). Scoprono che durante lo stress questi astrociti abbassano l'espressione del recettore EGFR.
E qui arriva il test: se si blocca EGFR solo negli astrociti dell’amigdala, anche senza 18 giorni di stress i topi diventano più paurosi. Quindi EGFR sembra proteggere contro gli effetti dello stress.

Punto chiave 2
Lo stress negli astrociti diminuisce l’espressione di EGFR.
Se io blocco EGFR i topi si impauriscono anche senza stress.
Quindi EGFR è un recettore anti-paura.

Inoltre, quando EGFR è basso, gli astrociti stessi si impanicano ed entrano in uno stato pro-infiammatorio, iniziando a produrre più segnali che alterano l’ambiente circostante. I neuroni che ricevono questi segnali cambiano a loro volta comportamento, attivando un gene chiamato NR2F2. Questo gene regola diversi aspetti dell'attività neuronale, ma in questo contesto sembra renderli più propensi a rispondere in modo esagerato agli stimoli di minaccia. Infatti, se NR2F2 viene silenziato, i topi diventano meno paurosi.
Quindi: gli astrociti, alterati dalla riduzione di EGFR, contribuiscono a un ambiente infiammatorio che spinge i neuroni a diventare più reattivi allo stress, facilitando il comportamento di freezing.

Punto chiave 3
Gli astrociti si impanicano producendo segnali infiammatori.
A quel punto i neuroni intorno si impanicano a loro volta e attivano NR2F2.
NR2F2 è tipo il bottone della paura.

Tutti questi segnali infiammatori, prima le citochine, poi gli astrociti impanicati, è chiaro che attirano l’attenzione del sistema immunitario, che si sveglia e risponde prontamente mandando i monociti (una tipologia di globuli bianchi) a controllare la situazione. I nostri monociti quindi migrano dalle periferie del corpo e si accumulano nelle meningi (le membrane che avvolgono il cervello). E un cervello infiammato è ovviamente un cervello ancora più impaurito, in pratica un circolo vizioso.
Quando i ricercatori trapiantano questi monociti nei topi, il freezing aumenta (e diminuisce EGFR negli astrociti). Se invece li eliminano con un anticorpo o geneticamente, il freezing si riduce (e aumenta pure EGFR negli astrociti! Tutto torna, stupendo!).

Punto chiave 4
Lo stress aumenta l’infiammazione.
L’infiammazione aumenta lo stress.
Il resto è freezing. Mai una gioia.

Ora però, la ciliegina psichedelica. 
Una singola dose di psilocibina (1 mg/kg) o MDMA (10 mg/kg) somministrata dopo i 18 giorni di stress fa tre cose:

  1. riduce il numero di monociti nelle meningi;

  2. abbassa i livelli di IL-1β e TNF;

  3. riduce il freezing.

Punto chiave 5
Gli psichedelici riducono l’infiammazione.
Riducendo l’infiammazione si riduce la paura.
Finalmente una gioia.

Effetti annullati se si co-somministra nifedipina, un vasodilatatore. Questo ha fatto ipotizzare che parte dell’effetto degli psichedelici possa dipendere anche da meccanismi vascolari, tipo la vasocostrizione: restringendo i vasi, magari impediscono fisicamente ai monociti di arrivare in massa nelle meningi. Chissà..
Gli autori hanno anche osservato, in esperimenti in vitro, che psilocibina e MDMA riducono alcuni segnali infiammatori prodotti dalle cellule immunitarie. Questo effetto sembra dipendere proprio dal recettore 5-HT2A, lo stesso recettore della serotonina a cui si legano gli psichedelici nel cervello.

Riassunto facile facile (si fa per dire 😆 ).

  • Lo stress cronico manda segnali infiammatori all'amigdala, il centro della paura, e chiama cellule immunitarie infiammatorie (i monociti) nelle meningi.

  • Gli astrociti, colpiti da questi segnali, abbassano EGFR e contribuiscono all’infiammazione a loro volta.

  • Passano il messaggio ai neuroni, che attivano il gene NR2F2 e diventano più reattivi allo stress.

  • Risultato: il cervello entra in modalità “allarme fisso” - freezing.

  • Gli psichedelici interrompono questo circolo vizioso, riducendo sia l’infiammazione che la risposta di paura.

Ultimo tassello: i dati umani. In cervelli post-mortem di pazienti con depressione maggiore, si vedono le stesse cose: meno EGFR negli astrociti, più NR2F2 nei neuroni.

In pratica, lo studio non ci dice solo come funzionano gli psichedelici. Ci suggerisce anche perché alcune condizioni psichiatriche nascono: forse da un equilibrio rotto tra sistema immunitario e cervello. E se è lì che si rompe, gli psichedelici potrebbero agire proprio dove serve, alla radice del problema, non solo sui sintomi.

Morale della favola: magari gli psichedelici non funzionano solo perché ti fanno "vedere cose" o ti aprono la mente, ma anche perché mettono ordine nel casino immunitario che lo stress ha lasciato. E no, non serve crederci, basta leggere i dati. Forse è proprio per questo che gli psichedelici sembrano funzionare in condizioni così diverse tra loro. Saranno davvero una panacea? 🤣 

P.S.: da anatomopatologa ho visto il gene EGFR in tutte le salse (tumori, metastasi, diagnosi differenziali, terapie). Finalmente posso dire che ho trovato un collegamento tra anatomia patologica e psichedelici. Era ora! 🥳 

Alla prossima! 😎 

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  • Terapie psichedeliche per il fine vita: una petizione italiana per consentire l’uso degli psichedelici nelle cure palliative e terminali. 👉 Firma qui

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