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Le molte vite della ketamina
Un farmaco con crisi d'identità
È online il webinar dedicato alla Ketamine-Assisted Therapy, che ho avuto il piacere di moderare.
Abbiamo discusso della ketamina come strumento terapeutico, dei suoi usi clinici, del supporto psicologico e dei principali limiti del suo utilizzo in Italia.
Il video completo è disponibile qui.
La ketamina (e la sua sorella brevettata, l’esketamina) è una molecola che cambia forma a seconda dello sguardo. È un farmaco che vive in molti mondi, e per capirlo davvero bisogna muoversi tra di essi: la ricerca, la clinica, l’industria, la politica.
Negli ultimi mesi, queste dimensioni si sono intrecciate più che mai, la stessa molecola è stata raccontata da voci diverse, ognuna chiaramente con la convinzione di dire la verità.
Mettiamoci comodi e partiamo dai più recenti studi clinici.
McInnes et al. hanno analizzato oltre ottomila pazienti con disturbo da stress post-traumatico trattati con ketamina endovenosa.
È uno studio osservazionale, quindi non un trial controllato, ma offre una fotografia interessante di ciò che accade nella pratica clinica.
L’87% dei pazienti aveva anche una depressione maggiore in comorbidità, e già dopo poche infusioni si osservavano riduzioni importanti dei sintomi, in media di oltre 20 punti sulla scala del PTSD (PCL-5) e di 7 punti sulla depressione (PHQ-9).
Dopo sei infusioni, circa tre quarti dei pazienti avevano raggiunto un miglioramento clinicamente significativo.
Quasi contemporaneamente, Jelovac et al. ci riportano un quadro agli antipodi, con il trial KARMA-Dep 2.
Qui la ketamina è stata confrontata in doppio cieco con un placebo psicoattivo, il midazolam, in pazienti ricoverati per depressione maggiore da moderata a grave. Otto infusioni bisettimanali dopo, i risultati non hanno mostrato nessuna differenza significativa: la variazione nei punteggi MADRS era minima e statisticamente irrilevante.
Quindi da un lato abbiamo i dati real-world che mostrano miglioramenti tangibili, dall’altro un trial controllato che li dissolve appena si isola la sostanza dal suo contesto.
La ketamina funziona e non funziona, a seconda di quanto si è disposti a considerare l’esperienza parte della cura.
Mentre la ricerca prova a misurare ciò che sfugge, l’industria si muove più in fretta.
La piccola NRx Pharmaceuticals ha presentato una Citizen Petition alla FDA per chiedere il ritiro di tutte le formulazioni di ketamina contenenti benzethonium chloride, un conservante usato da decenni.
È una strategia perfettamente contemporanea: nessuna nuova evidenza clinica, solo una riformulazione accompagnata da un linguaggio che suona più rassicurante. “Purificata” è la nuova parola magica, come se la ketamina avesse deciso di aprire un profilo bio su Instagram. Del resto, tutto va meglio quando è senza conservanti, anche la depressione.
Quasi in parallelo, la stessa azienda ha ottenuto dalla FDA una Fast Track Designation per NRX-100, una formulazione endovenosa di ketamina (senza conservanti, ci mancherebbe), in studio per l’ideazione suicidaria acuta.
Non è la stessa manovra della Citizen Petition, ma fa parte dello stesso schema: ci scrivo sopra “senza zuccheri aggiunti”, non cambio niente ma faccio un figurone.
La Fast Track permette una revisione accelerata, e si basa su dati ottenuti in gran parte proprio con la ketamina generica, la stessa che l’azienda oggi definisce “potenzialmente tossica”. Una supercazzola notevole, complimenti alla NRx Pharmaceuticals che potrebbe riuscire nell’intento di brevettare l’acqua calda.
Nello stesso periodo, un’altra società americana, Phlow, ha ricevuto un Priority Voucher (oggi uso solo termini inglesi per fare la figa 😇 ) per costruire una catena di produzione nazionale di ketamina.
L’obiettivo è ridurre la dipendenza dagli approvvigionamenti esteri (soprattutto da Cina e India) e garantire la sovranità farmaceutica degli Stati Uniti (Make America Great Again!).
Phlow non sviluppa nuove terapie, ma costruisce infrastrutture: renderà la ketamina più americana, più sicura, più disponibile, non vende sogni, ma solide realtà.
È un passo che dice molto sul presente: il farmaco non è più solo un mezzo terapeutico, ma una risorsa strategica. Non solo salute pubblica, ma politica industriale.
In Europa, intanto, si muove qualcosa di diverso. Lo scorso agosto la Norvegia è diventata il primo Paese al mondo a rimborsare la ketamina generica off-label per la depressione resistente all’interno del proprio sistema sanitario.
Il rapporto di valutazione aveva già indicato che la ketamina è probabilmente più efficace del placebo, della TEC e del midazolam, e comparabile all’esketamina, anche se le evidenze a lungo termine restano limitate. Ma l’argomento decisivo è stato un altro: accessibilità e sostenibilità. Se due farmaci fanno la stessa cosa, non c’è motivo di pagarne uno venti volte tanto.
Direi che non fa una piega.
Dietro la decisione c’è anche un modello pubblico di ketamine-assisted psychotherapy, costruito negli anni. In Norvegia la ketamina non è solo un farmaco, ma parte di un percorso terapeutico integrato, e potrebbe aprire la strada a come l’Europa accoglierà, un giorno, anche le terapie psichedeliche.
Guardando tutto questo insieme, la ketamina sembra quasi un prisma: stessa molecola, riflessi diversi. In ogni caso, resta un esperimento aperto su come costruiamo l’idea di cura.
Forse è proprio per questo che continua ad affascinare. Perché non parla solo di depressione, ma del modo in cui la scienza, l’economia e la politica si contendono il diritto di decidere cosa vale la pena curare, e come.
Alla prossima! 😎
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