La voce del paziente

Traccia 2

Siamo al secondo appuntamento con La voce del paziente.
Puoi recuperare la Traccia 1 qui.
Anche questa volta il racconto nasce dal dopo, da ciò che resta quando l’esperienza psichedelica è terminata. È lì che prende forma il significato più autentico, nelle parole di chi prova a trasformare un vissuto intenso in un cammino quotidiano.

La storia di Olivier (nome di fantasia) è presentata dal Dr. Fabio Villa, psichiatra e psicoterapeuta a Losanna, autore del libro L’oceano nella mente, nonché una delle principali fonti di ispirazione per questa rubrica.

Conoscere Fabio significa entrare in contatto con una calma che si trasmette subito: il tono pacato, lo sguardo attento, un’eleganza naturale che rende ogni incontro piacevole. E come se non bastasse, c’è il suo cane, una presenza talmente rassicurante che basta vederlo per stare meglio.

Olivier è un uomo sulla cinquantina, che chiede aiuto per un problema annoso di ansia generalizzata intrusiva, con impatto grave sulla sua qualità di vita, causando fasi depressive ricorrenti. Un’ideazione di morte è presente.
Ha vissuto in diversi Paesi da quando è bambino in ragione del lavoro del padre. Il tema dell’identità e dello sradicamento è costante nelle sedute che precedono la PAP (Psychedelic Assisted Psychotherapy).
Prima di riflettere sull’opzione terapeutica, il paziente ha seguito diverse terapie secondo vari approcci e ha assunto farmaci antidepressivi ed ansiolitici per anni, senza miglioramenti significativi.
Le sedute di PAP si sono svolte con psilocibina.

  1. Quali sono i cambiamenti più concreti che hai notato dopo l’esperienza? Anche piccoli: nei pensieri, nel corpo, nelle relazioni, nelle abitudini quotidiane...

Ho imparato a riconoscere l’ansia come un meccanismo, non più come una verità assoluta: oggi so vederla arrivare e posso contenerla senza identificarmi del tutto. Nel corpo sento più spesso un radicamento nel respiro e nel petto, non solo nella testa, e questo rende la tensione prodotta dall’ansia meno constante.
Ho smesso di vivere ogni progetto come una prova di valore: il mio ritmo di lavoro è più sostenibile, con meno ossessioni, meno ansia, e più continuità. Ho imparato anche a custodire l’entusiasmo senza farmene travolgere: non più bruciarmi nella performatività, ma lasciarlo scorrere con costanza, come una forza che mi accompagna invece di consumarmi.
Anche le relazioni interpersonali sono cambiate: non cerco soltanto riconoscimento, ma connessione autentica, e mi sento più libero di essere vulnerabile.
Ho riconosciuto anche la ferita del non sentirmi abbastanza come amico, e lentamente la sto trasformando in disponibilità vera verso l’altro.
Nelle abitudini quotidiane ho sviluppato una forma di auto-dialogo compassionevole: fermarmi, chiedermi cosa sto sentendo, e accogliere anche il disagio invece di combatterlo. Il corpo non è più solo un mezzo, ma un luogo sacro che mi ricorda ogni giorno la presenza dell’amore.

  1. C’è qualcosa che hai vissuto durante l’esperienza che ti accompagna ancora oggi? Un’immagine, una sensazione, un’intuizione, un modo diverso di sentire o guardare le cose…

Un’immagine: la trasformazione in sabbia che diventa l’universo stesso, simbolo della possibilità di perdere il controllo senza perdere me stesso.
Una sensazione: l’amore che emano naturalmente verso l’esterno, e che può anche attraversare le varie versioni di me (Sé bambino, adulto, anziano) quando si riconciliano.
Un’intuizione: che posso crescere non più per paura ma per amore, e che questa comprensione calma l’ansia più di ogni sforzo di controllo.
Un ricordo: il momento in cui ho potuto dire al mio vecchio super-io “ti riconosco, ma non guidi più tu”. Quella liberazione resterà per sempre.
Un orientamento: l’esperienza del vuoto e del silenzio interiore che si riempiono di amore universale. È il mio punto di partenza e di ritorno, la bussola che non si perde.

  1. Se dovessi spiegare a qualcuno che non ha mai vissuto niente di simile in che modo quest’esperienza ti ha aiutato, cosa diresti? Senza tecnicismi, a parole tue.

È come se avessi sentito la voce nascosta che guidava le mie ansie. L’esperienza mi ha fatto capire che non devo essere migliore per meritare amore, perché l’amore è già lì, accessibile e abbondante. Da allora vivo con meno reattività e più calma, faccio scelte con più senso e meno ansia. Ho ristabilito la relazione con la paura finché è diventata amica attraverso l’amore invece di oppressore attraverso l’ansia. Non è sollievo momentaneo, è una trasformazione che continua con fermezza. La differenza è che adesso posso fidarmi del mio stesso sguardo interiore.
In questo percorso, la sostanza ha reso possibile vivere momenti che, a mente lucida, potrebbero chiamarsi psicotici: stati in cui diverse parti di me hanno potuto confrontarsi con sufficiente distanza da comprendersi, accettarsi e amarsi. Alcuni di questi confronti sono stati piacevoli, molti altri dolorosi, ma tutti hanno camminato nella direzione della comunione. Perché nell’amore per il Sé si includono anche le ombre, e solo così l’incontro interiore diventa vero, e solo così possiamo vivere nel quotidiano una coscienza limpida e leggera.
L’impatto va ben oltre un semplice effetto antidepressivo, cosa che la sostanza pure dona, ma che potrebbe anche trovarsi nei farmaci. Sarebbe però un’illusione, quasi un’arroganza, pensare che un farmaco da solo possa riorchestrare i conflitti antichi della mente: al massimo può attenuarne i sintomi, ma non scioglierne le radici. La differenza è che qui il lavoro interiore diventa un vero incontro tra parti, e non un semplice silenziamento del dolore.
E c’è un altro punto: questo processo va ben oltre anche una psicoterapia tradizionale. Perché la comprensione razionale delle radici dei conflitti può diventare un modo per fissarli ancora di più, mentre l’esperienza vissuta in questi stati apre a una via di dissoluzione, dove comprensione e amore operano insieme.

Posso dire con onestà che, dopo aver provato di tutto per migliorare, per prima volta in vita mia sento di non dover più cercare. Sono arrivato dove ho sempre desiderato essere. Se dovessi dirlo in una frase semplice: non vivo più per dimostrare qualcosa, vivo per l’amore, e per evolvere con amore.

Per finire, devo sottolineare che tutto questo non sarebbe duraturo senza l’integrazione: con il mio psichiatra, che mi ha aiutato a riflettere su ciò che vivevo; con gli amici e la famiglia, che hanno offerto specchi sinceri ma anche pieni di affetto; e con me stesso, nel lavoro quotidiano di scrittura, pensiero, e ascolto.
L’integrazione è ciò che ha trasformato le visioni in vita concreta.

-Olivier

Un ringraziamento al Dr. Fabio Villa per il contributo a questa seconda traccia, e a Oliver per aver accettato di raccontare la propria esperienza. Ascoltarlo ci ricorda che dietro ogni dato e ogni protocollo c’è sempre una vita reale.

Alla prossima settimana, con una notizia molto importante by Illuminismo Psichedelico! 😎 

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