La resa è cura

Turn on, tune in, drop out

La psilocibina non agisce mai da sola. Lavora con l’ambiente, con la mente, con le persone intorno. È come una storia: cambia completamente a seconda di chi la racconta e di dove la racconti. In questo studio, il contesto (il set e setting) ha fatto la vera differenza tra paura e fiducia, tra confusione e guarigione.

I ricercatori hanno coinvolto 28 persone con depressione e diagnosi oncologica, chiedendosi una cosa semplice ma centrale: quanto conta davvero il contesto terapeutico? Che domanda: tantissimo, è ovvio. Ma ora che è pubblicato sotto l’albero della Elsevier ne siamo ancora più convinti di prima.

Dalle interviste emerge un tema costante: l’esperienza con la psilocibina è intensa, a tratti travolgente, e richiede un atto di resa consapevole. Molti pazienti l’hanno descritta come esigente, non solo sul piano emotivo ma anche fisico e spirituale: dolore, nausea, crampi o paura potevano alternarsi a momenti di bellezza, connessione e sollievo.

Resistere è stato per molti il primo impulso, perché è quello che facciamo sempre. Ma i benefici più profondi arrivavano quando riuscivano ad affidarsi, a lasciarsi andare all’esperienza.
La resa, dicono i ricercatori, non è passività: è una decisione consapevole che diventa possibile solo se c’è fiducia. Lì dove la mente vorrebbe controllare, la cura inizia quando smetti di farlo.
Solo un ambiente percepito come sicuro permette al paziente di abbandonarsi senza paura. Il senso di protezione nasce dalla relazione con i terapeuti, dalla loro presenza discreta, dall’integrità percepita, dal sentirsi guardati con rispetto. Molti hanno sottolineato come questa sicurezza, più di ogni altra cosa, abbia reso l’esperienza trasformativa.
È curioso come un contatto minimo, una mano tesa, un respiro condiviso, possa diventare la differenza tra il panico e la fiducia.

Anche lo spazio contava. Le stanze di trattamento erano studiate nei minimi dettagli per sembrare accoglienti e lontane dall’immaginario ospedaliero: colori morbidi, fiori freschi, musica, niente luci al neon.
La musica, selezionata per guidare l’elaborazione emotiva, giocava un ruolo cruciale, pur non sempre privo di ambiguità: in alcuni casi veniva percepita come forzata o culturalmente distante, a volte perfetta, a volte un po’ fuori posto, come quando Spotify decide di cambiare umore prima di te.

La preparazione, nelle settimane precedenti, era tutta un lavoro di fiducia: chiarire le intenzioni, imparare a rilassarsi, accettare che non si può prevedere cosa accadrà.
Fidarsi, lasciarsi andare, restare aperti (salutiamo affettuosamente Timothy Leary ❣️ ).

Dopo la somministrazione, la fase di integrazione diventava il luogo in cui dare significato a quanto vissuto: attraverso colloqui individuali o di gruppo, scrittura, disegno, rilettura di testi simbolici o riascolto della musica della sessione. È lì che l’esperienza psichedelica si traduceva in qualcosa di spendibile nella vita quotidiana.

Un aspetto interessante di questo protocollo è l’equilibrio tra rigore clinico e dimensione cerimoniale. Anche in un contesto medico controllato, piccoli gesti simbolici, come la consegna delle capsule in una coppa di ceramica o la pausa silenziosa dedicata all’intenzione, hanno aiutato i partecipanti a percepire la seduta come un momento sacro, distinto da qualsiasi altra procedura sanitaria.
Questi elementi, lungi dal compromettere il metodo, hanno contribuito a dare senso e profondità all’esperienza, integrando la dimensione spirituale con quella terapeutica.

Gli autori insistono sull’etica: vulnerabilità e fiducia richiedono protezione, consenso chiaro, terapeuti formati non solo tecnicamente ma anche umanamente.
L’obiettivo finale è costruire modelli di assistenza flessibili e centrati sul paziente, capaci di integrare dimensioni psicologiche, mediche e spirituali.

Alla prossima! 😎 

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  • PsychedeliCare: un’Iniziativa dei Cittadini Europei per promuovere la ricerca e l’uso medico degli psichedelici nella salute mentale. 👉 Firma qui

  • Terapie psichedeliche per il fine vita: una petizione italiana per consentire l’uso degli psichedelici nelle cure palliative e terminali. 👉 Firma qui

Puoi approfondire queste due iniziative leggendo questa mia precedente newsletter.

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