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La Complete Response Letter sull'MDMA-AT di Lykos/MAPS

La lettera che fa scuola (ma non terapia)

Lo avevo già detto, ma lo ripeto, ci vediamo a Cagliari il 26 e il 27 settembre al Teatro Massimo per il Festival della Psichedelia.

Eccoci qui con una notizia fresca fresca: la FDA ha reso pubblica la Complete Response Letter (CRL) che aveva inviato a Lykos Therapeutics nell’agosto 2024, quella che aveva respinto l’approvazione della terapia assistita da MDMA per il PTSD. Adesso sappiamo, nero su bianco, che cosa non ha convinto l’agenzia.

Il cuore della CRL è chiaro: per la FDA i dati non bastano.
Primo problema: la raccolta degli eventi avversi. Negli studi di Lykos, effetti come euforia o alterazioni dell’umore non venivano considerati eventi avversi perché, beh, “suonavano positivi”. La FDA non l’ha presa bene: non è proprio la miglior strategia quando vuoi convincere un’agenzia regolatoria che stai monitorando la sicurezza.

Secondo problema: la durata dell’effetto. I benefici non sono stati dimostrati oltre le 18 settimane, e lo studio di follow-up MPLONG non ha convinto. E come poteva? Una sola visita, tempi variabili dai sei mesi ai due anni, solo una parte dei pazienti che hanno deciso di partecipare, e molti che nel frattempo avevano intrapreso altri trattamenti. Più che un trial clinico sembrava una rimpatriata di ex partecipanti che non avevano di meglio da fare.

Terzo: quasi il 40% dei pazienti aveva già fatto uso di MDMA. Una percentuale altissima, che rende difficile capire se i miglioramenti siano dovuti alla terapia o a un’aspettativa già consolidata.

Poi c’è il capitolo più spinoso: la psicoterapia. La FDA chiede che nei futuri studi venga chiarito quanto la psicoterapia contribuisce al beneficio e se sia davvero necessaria. Non solo: raccomanda di sostituire il protocollo MAPS con una psicoterapia standard di cura, basata sull’evidenza, o addirittura di valutare un braccio senza psicoterapia.

Il problema è che il manuale sviluppato da MAPS era un po’ come un buffet “all you can eat”: dentro c’era di tutto, dal cognitivo-comportamentale al transpersonale. Bello per i terapeuti, certo, ma per chi deve valutare i dati è un incubo. Dal punto di vista clinico l’elasticità può sembrare sensata, ma in medicina (e soprattutto in regolatoria) è inaccettabile: se ognuno fa cose diverse, come si fa a stabilire che cosa funziona davvero?

Accanto a questi motivi principali, la CRL elenca anche varie lacune: dati di laboratorio incompleti, sicurezza cardiaca poco caratterizzata, assenza di studi su interazioni con antidepressivi, gravidanza e allattamento. Non sono stati motivi immediati di rifiuto, ma la FDA si aspetta che vengano affrontati.

Dal canto suo, MAPS ha accolto la pubblicazione come un atto di trasparenza, ma ha criticato la FDA per aver “spostato gli obiettivi”: il protocollo di fase 3 era stato concordato nel 2017, eppure ora vengono richieste condizioni diverse. Una critica comprensibile, se pensiamo che ogni anno di ritardo significa milioni di persone con PTSD che restano senza alternative adeguate.

E adesso arriva il paragone inevitabile: Spravato (esketamina) è stato approvato con studi di durata piuttosto breve, nell’ordine di settimane o pochi mesi, solo dopo si sono accumulati dati di uso cronico. Inoltre lo Spravato è stato approvato nonostante la necessità di somministrazioni ripetute, il rischio di dipendenza e un costo elevatissimo per i sistemi sanitari. La MDMA invece, che aveva mostrato benefici significativi in combinazione con la psicoterapia, viene respinta perché non si adatta agli schemi regolatori tradizionali. È una contraddizione che mette a nudo i limiti di un sistema pensato per farmaci “classici”, incapace di accogliere approcci integrati.

La CRL della FDA è, va detto, un documento impeccabile sul piano scientifico.
MAPS, d’altro canto, ha commesso errori grossolani di progettazione e gestione dei dati, amplificati dall’eccesso di clamore mediatico. Ci ha provato a scardinare le regole del gioco, facendo da testa d’ariete, e inevitabilmente ne ha pagato il prezzo. Forse era inevitabile. Ma la domanda rimane: se costringiamo queste terapie a entrare a forza nei binari di una regolazione che non le riconosce per quello che sono, non rischiamo di svuotarle del loro potenziale?

Servono studi più solidi, certo, ma anche la capacità di immaginare protocolli che non cancellino l’essenza delle terapie psichedeliche, cioè l’incontro tra sostanza e psicoterapia. Se riduciamo tutto a un farmaco in cerca di un’etichetta, rischiamo di perdere quello che rende davvero unica questa nuova frontiera della medicina.

Alla prossima! 😎 

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