Walt Disney, Minecraft e gli psichedelici

Imprinting: un nuovo concetto da integrare in set e setting

Negli scorsi giorni ho letto questo articolo che parla di imprinting nella terapia psichedelica, un nuovo concetto da integrare a set e setting.

Spero di non annoiarti troppo con spiegazioni “strane”, ma ho imparato tanti nuovi termini che non conoscevo e mi faceva piacere condividere quello che ho studiato.

Un articolo un po’ “buffo” che però fa capire quanto i nostri comportamenti possano influire sull’outcome terapeutico di una seduta con psichedelici, e quanto poco in realtà ancora ne sappiamo sull’intero argomento.

Partiamo con il dire che il set e il setting sono termini che fanno parte del vocabolario psichedelico da decenni, indicando rispettivamente lo stato mentale (mindset) della persona che assume la sostanza, e l’ambiente (fisico e sociale) in cui la sostanza viene assunta.

Questi due concetti sono alla base della terapia psichedelica: preparare il paziente all’esperienza, oltre che guidarlo durante la seduta in un ambiente accogliente e sicuro, permettono di migliorare il risultato della terapia.

Come il set e il setting possano essere ottimizzati è tuttora una domanda senza risposte, e nonostante i decenni di ricerche scientifiche, solo pochi lavori si sono concentrati strutturalmente sull’analisi di queste due variabili.

I canadesi Garel et al. hanno condotto uno studio retrospettivo andando a revisionare 26 pazienti con depressione resistente a trattamento che hanno ricevuto 6 somministrazioni di ketamina nell’arco di 4 settimane.

2 pazienti in particolare hanno attirato la loro attenzione.

  • Paziente 1: una donna che passava in media 6 ore al giorno sui forum di compravendita di spille Disney, e che si ritrovava personaggi Disney nelle sue allucinazioni durante la terapia, disturbandola non poco.

  • Paziente 2: un uomo che giocava ai videogiochi fino a 16 ore al giorno, e che si è ritrovato ad avere allucinazioni pixellate in estetica Minecraft.

I terapisti che li seguivano proposero di ridurre l’esposizione ai social media e ai videogiochi per lo meno per la durata della terapia.

Dopo questa modifica ai loro comportamenti è successo che:

1) Topolino e Minecraft non hanno più fatto incursioni sgradevoli nelle allucinazioni dei pazienti;
2) entrambi hanno riportato un incremento mistico dell’esperienza;
3) quando sono stati ricontattati mesi dopo, entrambi hanno dichiarato che avevano notevolmente ridotto le ore trascorse davanti ad uno schermo ed erano più socialmente coinvolti.

Per quanto riguarda gli altri 24 pazienti, 5 riportarono di avere avuto allucinazioni che riproponevano film o serie TV visti nei giorni precedenti, mentre altri 3 riferirono allucinazioni collegate ad attività svolte poche ore prima.

E qui i ricercatori canadesi propongono il nuovo concetto di imprinting: un fenomeno per cui l’esposizione ambientale precedente alla seduta psichedelica si viene a manifestare in maniera involontaria e spontanea nel contenuto e/o nella forma dei cambiamenti percettivi dell’esperienza.

C’è poi un intero paragrafo in cui viene spiegata la differenza tra imprinting e il priming dell’ipnosi, tra imprinting e immagini eidetiche, tra imprinting e palinopsia.
Piuttosto, l’imprinting si può paragonare ai sogni.

Che romantici.

Ma andiamo per ordine.

Il priming nell’ipnosi consiste nel proporre uno stimolo, prima o durante l’ipnosi, che induce un cambiamento di comportamento, cognizione o percezione (il famoso “al mio tre…” oppure “quando schioccherò le dita…”).
La differenza con l’imprinting è che nell’imprinting lo stimolo occorre naturalmente nella vita del paziente, non viene imboccato dal terapeuta.

Le immagini eidetiche sono quelle immagini viste a occhi chiusi durante l’esperienza psichedelica e che spesso sembrano “vere”, ma che sono in realtà un’amalgama fantasiosa di memorie, di natura spesso astratta e simbolica, e non vere e proprie manifestazioni dell’esposizione ambientale prima del trip.

La palinopsia (“vedere di nuovo”), la più vicina al concetto di imprinting, è invece la persistenza o la ricorrenza di immagini visive dopo che lo stimolo è stato rimosso.
Esistono la palinopsia illusoria (brevi immagini che si ripresentano nello stesso punto visivo dove c’era lo stimolo originario) e la palinopsia allucinatoria (immagini e interi “film mentali” riprodotti fedelmente per secondi, minuti, ore o anche giorni): la differenza è che la palinopsia non è mai stata associata all’uso di psichedelici, e la sola palinopsia illusoria è stata considerata come sintomo nel contesto della HPPD (hallucinogen persisting perception disorder).

L’imprinting è invece assimilabile ai sogni: i ricordi della giornata vengono spesso sognati, e le immagini dei ricordi in generale vengono riproposte nei sogni anche dopo molti anni.

Cosa è quindi che influenza l’imprinting?

Si va per ipotesi chiaramente, ma Garel et al. propongono che l’imprinting sia derivato principalmente da un’esposizione recente e prolungata ad uno stimolo omogeneo che genera emozioni positive nel paziente.

Si spingono anche un po’ oltre, suggerendo che la diminuzione del DMN (default mode network, la nostra centralina di controllo che filtra gli stimoli che riceviamo e che viene “spenta” durante il trip psichedelico) faccia venire in superficie quegli stimoli “bassi” e inconsci che sono proprio alla base dell’imprinting.

Altra speculazione è che gli psichedelici funzionano bene nel trattamento del disturbo post traumatico da stress e nell’alleviare la paura della morte nei malati terminali perché queste due condizioni sono caratterizzate dalla ripetizione continua delle stesse immagini nella mente (il trauma e la morte), e quindi sostanzialmente sono una specie di imprinting che viene “liberato” durante la seduta.

Provocazione finale (o forse nemmeno così tanto, chissà) è la proposta di usare la terapia psichedelica per le patologie correlate a gioco d’azzardo e dipendenza da social media.

A parte queste ipotesi più o meno veritiere, la cosa certa è che il concetto di imprinting, seppur nel suo stadio primitivo, è un concetto interessante e da tenere in considerazione durante la terapia psichedelica.

L’imprinting può essere esteso a tutti gli psichedelici, non solo alla ketamina, e conoscerne l’impatto sul trip può essere utile sia al paziente che al terapeuta per dare significato ad alcune immagini.

Sarebbe quindi importante tenerne di conto per ottimizzare la terapia psichedelica e poter preparare al meglio set e setting prima della seduta.

Questo articolo va indirettamente ad enfatizzare il ruolo chiave della psicoterapia quando si usano psichedelici per trattare svariate patologie.

Ciò è in netta contrapposizione con le recenti (23 giugno 2023) raccomandazioni della FDA per l’esecuzione di trial clinici con gli psichedelici, in cui viene detto che il supporto psicologico è di dubbia utilità perché non ci sono prove convincenti sufficienti a suo favore.

Ci sarebbero molte cose da dire su questo, ma sarò breve:

  • culturalmente gli strizzacervelli ancora non ci vanno giù, bisogna modificare la percezione sociale e convincerci del fatto che la psicoterapia (nelle sue varie forme) è parte integrante della salute e del benessere mentale e non una lettera scarlatta di vergogna;

  • è chiaramente difficile costruire studi scientifici ad hoc con psichedelici e psicoterapia (ne ho parlato anche in una precedente newsletter), ed escludere l’intero ambito psicologico solo perché è più facile e conveniente non mi pare una giustificazione valida;

  • se si eliminano gli psicoterapeuti dall’equazione della terapia psichedelica si va ad eliminare una bella fetta di costi (si parla praticamente di un’intera giornata di lavoro a seduta per ognuno questi professionisti); non sarà quindi che magari, come sempre d’altronde, la questione gira più intorno ai soldi che all’efficienza di una terapia?

Ti lascio con questa domanda provocatoria.
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