L'ibogaina come medicina universale

Ibogaina e magnesio nei veterani

Oggi affronto una molecola di cui ancora non ho mai parlato, l’ibogaina.

Si tratta di una molecola psicoattiva presente in diverse piante, tra cui l’iboga, ed è usata tradizionalmente in alcuni paesi africani.
Viene considerata un oneirogeno perché produce uno stato simile al sogno.
Dal punto di vista farmacologico, la noribogaina è il suo principale metabolita e dimostra lieve-moderata affinità con numerosi recettori: NMDA, k e μ oppioidi, σ-1 e σ-2, nicotinici, serotoninici, dopaminici. Per questo motivo l’ibogaina viene considerata uno psichedelico atipico.
Inoltre incrementa il BDNF e stimola la crescita dei neuroni permettendo la neuroplasticità.

Clinicamente è conosciuta la sua potenzialità nel trattamento della dipendenza da sostanze, ma il disegno di studi clinici appropriati è difficoltoso per la neurotossicità e cardiotossicità della molecola.
Infatti, l’ibogaina provoca atassia transitoria (instabilità nel camminare) ed allungamento dell’intervallo Q-T con conseguente aritmia.

È stato però visto che somministrando magnesio, si previene l’allungamento dell’intervallo Q-T, permettendo quindi di avere cardioprotezione e maggiore sicurezza per il paziente.

A partire da queste osservazioni, un gruppo di ricercatori americani ha studiato la somministrazione di ibogaina insieme a magnesio in 30 veterani con lesioni cerebrali da combattimento.

Da un punto di vista clinico queste lesioni cerebrali provocano numerosi disturbi, tra cui disturbo post traumatico da stress (PTSD), depressione maggiore, disturbo d’ansia e numerosi alterazioni neuronali tra cui memoria, attenzione eccetera.

I soggetti che hanno partecipato allo studio sono volati fino in Messico, dove hanno ricevuto 12,1 ± 1,2 mg/Kg di ibogaina dopo un’infusione di magnesio.

Non ci sono stati eventi avversi gravi, né aritmie visibili all’ECG. Tutti i partecipanti hanno sofferto di atassia e tremore intenzionale che si sono risolti entro 24 ore.
Altri effetti collaterali sono stati emicrania, nausea, ansia, ipertensione, insonnia.

I risultati sono stati molto interessanti e sono stati riportati con estrema precisione.

Tutte le scale di valutazione utilizzate hanno dimostrato una riduzione significativa, sia subito dopo il trattamento che ad un mese di distanza:

  • WHODAS (WHO Disability Assessment Schedule), da 30,2 ± 14,7 di partenza a 19,9 ± 16,3 post trattamento, un punteggio che equivale a lieve disabilità; ad un mese dalla somministrazione di ibogaina il punteggio era ulteriormente sceso a 5,1 ± 8,1 (assenza di disabilità);

  • CAPS-5 (Clinician Administered PTSD Scale for DSM-5), da 31,7 ± 12,5 a 3,9 ± 4,8 post trattamento e 4,8 ± 7,9 ad un mese;

  • MADRS (Montgomery Asberg Depression Rating Scale) da 25,6 ±8,7 a 2,8 ± 3,3 post trattamento e 3,9 ± 4,6 ad un mese;

  • HAM-A (Hamilton Anxiety Rating Scale) da 20,8 ± 8,5 a 3,6 ± 3,4 post trattamento e 3,9 ± 4,6 ad un mese.

Si tratta di una risposta generale del 93% e di un tasso di remissione medio dell’83%.
Oltre a questo, l’ideazione suicidaria è passata dal 47% iniziale allo 0% post trattamento e al 7% ad un mese di distanza.

Cifre davvero, davvero interessanti.

Nel complesso anche i test neuropsicologici hanno mostrato dei miglioramenti.

Ci sono ovviamente limitazioni a questo trial, la più importante delle quali è l’assenza di un gruppo di controllo. Bisogna anche considerare il breve follow up di un mese e l’inesistente eterogeneità nella popolazione studiata.

Si tratta però di una ricerca ben fatta, precisa e scrupolosa, che getta le basi per futuri approfondimenti ed applicazioni terapeutiche.

Alla prossima!

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