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Esplorare la coscienza de-costruita con 5-MeO-DMT

Cosa resta quando non resta niente

Cosa succede se la coscienza si spegne… ma tu rimani sveglio? Se non ci sono più pensieri, né corpo, né percezioni, ma resta qualcosa che è, senza sapere chi o che cosa?
No, non è una domanda zen né l’inizio di un corso di meditazione estrema. È quello che alcune persone riportano dopo aver inalato 5-MeO-DMT, una delle sostanze psichedeliche più intense e misteriose.
La sua azione rapidissima, la durata breve e l’intensità la rendono un candidato interessante per esplorare stati alterati di coscienza in modo controllabile. Alcuni autori la paragonano agli stati meditativi avanzati di non dualità, ma raggiungibili senza anni di pratica contemplativa.

Il gruppo di ricerca di Timmermann et al. (come sempre uno dei miei preferiti), ha cercato di capire se la 5-MeO-DMT possa essere un modello farmacologico per studiare cosa succede quando la coscienza si de-costruisce.
Lo studio ha combinato EEG registrati durante vere cerimonie con uno strumento poco conosciuto ma sorprendentemente efficace: le interviste microfenomenologiche.

Gli autori hanno raccolto dati in due cerimonie, una in Olanda (con 5-MeO-DMT sintetico, 15,4 mg) e una in Spagna (con secrezioni del rospo Incilius alvarius, dose media 28,7 mg). Dopo l’esperienza, i partecipanti hanno completato questionari retrospettivi (ASC) e sono stati intervistati con un protocollo microfenomenologico.

Dimenticatevi i questionari a crocette del tipo “quanto ti sei sentito tutt’uno con l’universo da 1 a 10?”. Le interviste microfenomenologiche sono tutta un’altra cosa. È una tecnica sviluppata per superare i limiti della memoria e dell’ineffabilità tipica di certi stati di coscienza. L’obiettivo è far sì che la persona torni, per quanto possibile, dentro l’esperienza vissuta, non per interpretarla o giudicarla, ma per descriverla nel suo svolgimento minuto per minuto.

Le interviste sono lunghe (30–60 minuti), audio-registrate, trascritte e analizzate in due fasi:

  • analisi microfenomenologica, che segmenta l’esperienza in fasi temporali;

  • analisi tematica, che raggruppa le fasi in categorie condivise, i “sottostati” dell’esperienza con 5-MeO-DMT.

Risultato: una mappa dinamica dell’esperienza, basata sul vissuto soggettivo ma con rigore qualitativo.

Dalle interviste sono emerse sei fasi comuni:

  • Onset (86%) – Una partenza rapida e violenta, descritta con termini come “disintegrazione”, “frattura”, “compressione”, che coinvolgono corpo, mente e percezioni.

  • Immersione/fusione (43%) – Sensazioni intense, perdita del senso dell’ambiente, emozioni impersonali e senso di fusione con l’esperienza.

  • Astratto (43%) – Stato senza tempo né spazio, senza pensiero, ma con sensazioni percepite come forme o colori non visuali.

  • Tutto/niente (29%) – Nessun contenuto percepibile, né sé, né soggetto-oggetto. Paradossalmente descritto come “pieno di nulla” o “nulla luminoso”.

  • Ricostruzione (57%) – Ritorno graduale al sé e al mondo: prima i suoni, poi il corpo, poi la narrazione di sé.

  • Afterglow (43%) – Stato di quiete e lucidità, simile alla meditazione.

Amnesie parziali, specie nella cerimonia spagnola (con dosi più alte), suggeriscono che le fasi più estreme possano essere state anche sottostimate.

Durante e dopo l’assunzione, l’EEG mostra una riduzione globale delle onde alfa e una riduzione delle beta posteriori. Le onde alfa sono associate alla costruzione di modelli interni (come il sé), e la loro riduzione suggerisce un indebolimento di questi modelli. Le beta posteriori sono legate alla percezione del corpo e alla distinzione soggetto-oggetto: anche qui, la loro diminuzione supporta l’idea di una dissoluzione dell’identità corporea.
Dal punto di vista neurofisiologico, la riduzione delle onde alfa e beta è in linea con quanto osservato con altri psichedelici e anche con pratiche meditative avanzate che sospendono il sé corporeo. La variabilità delle altre bande (delta, theta, gamma) è alta e riflette probabilmente sia differenze soggettive che variabili sperimentali (setting, modalità di somministrazione, tipo di sostanza).

Gli autori hanno confrontato i tracciati EEG di chi ha vissuto esperienze classificate come “astratto” o “tutto/niente” (con assenza totale del sé) con quelli di chi ha mantenuto qualche struttura del sé. Nessuna differenza macroscopica è emersa, ma il problema principale è metodologico: non è stato possibile mappare EEG e fasi vissute in tempo reale, quindi magari le differenze ci sono ma sappiamo ancora come vederle. Non si può mica chiedere la luna..

L’esperienza con 5-MeO-DMT, nei suoi picchi più estremi, sembra produrre stati di coscienza radicalmente de-costruiti: privi di narrazione, privi di corpo, privi di contenuti, ma con veglia preservata. Tuttavia, questi stati non sono stati la norma: si sono verificati in solo un terzo dei partecipanti, e solo in specifici momenti.
Gli autori ipotizzano che ci sia un possibile legame dose-dipendente: i picchi più profondi sono stati riportati da chi aveva ricevuto dosi più alte (la cerimonia spagnola). Ma con l’aumentare della dose aumenta anche l’amnesia: potrebbe esserci quindi una “sweet spot” tra intensità e possibilità di ricordo.

Questo studio non solo ci racconta qualcosa di nuovo sulla 5-MeO-DMT, ma solleva una domanda affascinante: possiamo davvero studiare i meccanismi di una coscienza smontata fino a lasciarla nuda, senza sé, senza percezioni, e ancora dire che siamo svegli? E se sì, cosa rimane?

Forse non sapremo mai davvero cosa succede quando “non succede più niente”. Ma se una molecola può farci intravedere quel punto cieco della coscienza, vale la pena ascoltare chi ci è stato. Anche (e soprattutto) se fatica a trovare le parole, magari accettando che un’esperienza si possa descrivere solo così: tutto, e niente.

Alla prossima! 😎 

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