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Le immagini del cervello sotto l’effetto della psilocibina

Dio esiste e ne abbiamo le prove

Prima di tuffarmi nell'articolo della settimana, una comunicazione di servizio: lo scorso 18 luglio la SIMePsi, la Società Italiana di Medicina Psichedelica, ha tenuto un webinar sulla Psychedelic Assisted Therapy, e se lo volete recuperare potete trovare la registrazione dell'incontro qui.

Sono ormai giorni che tutti, ma proprio tutti, parlano di questo articolo, uscito su Nature la scorsa settimana. Un articolo bello, chiaro, semplice, elegante, che va a confermare cose che già si sapevano e che tira fuori osservazioni nuove e potenzialmente molto importanti per il futuro della medicina psichedelica. Insomma, le ha proprie tutto, il re dell'estate.

7 individui sani hanno ricevuto 25mg di psilocibina e ad un paio di settimane di distanza hanno ricevuto metilfenidato, un'amfetamina usata nell’ADHD. Tutti si sono sottoposti ad una risonanza magnetica funzionale prima, durante e dopo la somministrazione delle sostanze.

La prima cosa che salta all'occhio e che già sapevamo dagli storici studi di Carhart-Harris, è che la psilocibina provoca una profonda modificazione (3 volte più grande rispetto al metilfenidato) nei circuiti neuronali su praticamente l'intera corteccia cerebrale, una desincronizzazione dallo stato normale, il caos. Siegel et al. dicono che la disorganizzazione cerebrale indotta dalla psilocibina è stata così distante dallo stato basale di riposo, che sembrava di vedere la risonanza magnetica di due persone diverse.

Le principali alterazioni sono state riscontrate nelle aree del Default Mode Network (DMN), quelle parti del cervello coinvolte nei pensieri introspettivi, nel senso del sé, memoria episodica e “sognare ad occhi aperti”, aree che sono implicate nello sviluppo di patologie quali depressione, ansia, OCD.

Una cosa parecchio buffa è che pare che uno dei partecipanti sia stato in grado di far sapere in diretta ai ricercatori che in quel momento aveva appena incontrato Dio. E i ricercatori hanno giustamente fatto un bel fermo immagine di questo momento storico: per niente casualmente, era al picco della desincronizzazione.

Queste cose già si sapevano, anche se è sempre fondamentale riprodurre i risultati scientifici nel tempo, così da farli diventare delle prove. Siegel et al. però ci deliziano anche con due chicche mai viste prima.

Durante il trip infatti, è stato chiesto ai partecipanti di rispondere ad alcune semplici domande, inducendoli a concentrarsi su quello che stava succedendo intorno a loro, piuttosto che dentro di loro. Facendo ciò è stata riscontrata una riduzione della disorganizzazione cerebrale, come se la psilocibina stesse facendo meno effetto.

Come mai è potenzialmente rivoluzionaria questa cosa? Perché se durante una terapia psichedelica mi prende male, ma parecchio male, il terapeuta che mi segue sa che può intervenire utilizzando le tecniche di grounding per aiutarmi ad alleviare la difficoltà del momento. Le tecniche di grounding sono tra l'altro ben conosciute sia nella psicoterapia classica che in quella psichedelica, ma avere la dimostrazione, per giunta con immagini chiare ed inconfutabili, che funzionano veramente e non è solo una roba mentale senza riscontro pratico, è tutt'altro paio di maniche. Significa infatti che il grounding ha una base neurobiologica.

Altra perla è che sono state fatte risonanze magnetiche funzionali anche 3 settimane dopo la somministrazione di psilocibina. L'attività cerebrale era tornata alla normalità, ma è stata vista una cosa interessante: la connettività tra l'ippocampo anteriore e il DMN era diminuita rispetto allo stato basale di partenza. Questo significa che gli effetti della psilocibina sono strutturalmente visibili a livello cerebrale, e sono duraturi nel tempo. Tutto ciò è un risultato concreto e tangibile della neuroplasticità indotta da psichedelici. Pazzesco.

Se ne traggono due conclusioni importantissime:

  • gli psichedelici producono davvero un cambiamento neurobiologico, non si parla di effetto placebo o di strane mode new age, la loro potenzialità terapeutica è dimostrata in foto;

  • l'esperienza psichedelica nella sua totalità e complessità, con visioni strane e celestiali, ego death e compagnia bella, potrebbe sul serio essere una parte essenziale al processo terapeutico, in contrapposizione al recente boom nella progettazione e nello studio di psicoplastogeni.

Insomma, un applauso al team della Washington University di St. Louis che ha portato una ventata di freschezza in questa calura estiva presentando una scienza essenziale, senza tanti fronzoli, e soprattutto, inoppugnabile.

Alla prossima! 😎 

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